Alla luce del Rapporto Caio sulle Tlc in Italia, “Portare l’Italia verso la leadership europea nella banda larga” – presentato al Governo per trovare soluzioni alternative al coinvolgimento primario di Telecom Italia nel processo di miglioramento della rete di telecomunicazione sul territorio nazionale – analizziamo le premesse della stessa Telecom su questo tema e in particolare sulle prospettive per la fibra ottica, contenute nel piano finanziario 2009-2011 per il riassetto del Gruppo presentato dall’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè a fine 2008.
Un programma proiettato verso un futuro all’insegna dello sviluppo tecnologico, ma già molto ridimensionato rispetto alle prospettive del mercato e degli utenti, ormai “contaminato” dallo spettro della crisi e dalla necessità di ridurre i debiti accumulati.
Partendo dal presupposto che è impossibile pensare ad un rilancio economico, e quindi a concrete misure di sviluppo, senza una effettiva flessibilità finanziaria, il piano individua come aree strategiche Italia e Brasile.
Sul mercato domestico ci si concentrerà su una impostazione customer-centric (Consumer, Business e Top Client) e si continuerà a dare un forte impulso ai business innovativi per lo sviluppo complessivo dell’economia digitale.
Le restanti zone d’interesse, principalmente il broadband europeo – ovvero HanseNet e tutte le attività olandesi, insieme all’infrastruttura Sparkle e l’operatore di telecomunicazioni di Cuba – sono considerate “asset buoni”, secondo la definizione dello stesso Bernabè, e quindi potenzialmente cedibili, ma solo se ben valorizzati.
La strategia per la crescita nel mercato italiano è basata su cinque punti:
- consolidare la quota di mercato a valore grazie al nuovo approccio customer centric (qualità dei servizi e soluizioni VAS per le imprese;
- sviluppare il broadband mobile;
- colmare il gap nella penetrazione nel broadband fisso rispetto alla media europea;
- sviluppare significativamente business adiacenti (IPTV, ICT, pubblicità online, digital home, service exposure);
- riassetto dell’architettura di marca del Gruppo.
Il manager di Telecom Italia ha recentemente ricordato che ci sono investimenti per 6 miliardi di euro nella rete di nuova generazione e nel prossimo triennio in Italia il Gruppo investirà 6,7 miliardi di euro nelle piattaforme di rete, «il 45% per la rete di accesso e il 32% destinato alla piattaforma servizi».
Come a dire che l’ex-monopolista in Italia investe nelle infrastrutture di rete il 15% dei propri ricavi, ben oltre il 9% dei competitor Telefonica, France Telecom e Deutsche Telecom.
La rete, ha chiarito ancora Bernabè, è adeguatamente attrezzata per il futuro, con un’ampia capacità di crescita. Il problema dell’Italia, in realtà, risulterebbe non tanto nella inadeguatezza dell’infrastruttura, quanto piuttosto nel consumo della banda larga: secondo Bernabè, «la rete di Telecom è satura solo al 50%».
In Italia, ancor più sentito del problema di infrastrutture, sarebbe dunque quello dell’alfabetizzazione informatica, che vengono prima di qualunque ulteriore considerazione sullo sviluppo di nuove reti e servizi.
Ad ogni modo, per Bernabè gli impegni sulla rete presi con l’Autorità rappresentano comunque “un passo avanzato e innovativo” di cui si dovrebbero cogliere i frutti in tempi rapidi, pur sottolineando che sviluppare l’infrastruttura in fibra ottica non può essere un problema di un azienda quale è Telecom Italia ma deve rimanere una questione di rilevanza pubblica.
Resta la questione della rete, definita strategica da Barnabè che ha ribsdito il suo ruolo di core business. Senza giri di parole, è stato esplicitamente confermato che non sarà mai presa in considerazione l’ipotesi spin-off.
Piuttosto, saranno prese in esame eventuali sinergie industriali e l’intervento della Cassa depositi e prestiti per far sì che possano avviarsi i lavori per lo sviluppo di una nuova infrastruttura.
Nel contesto attuale, il piano finanziario di Telecom Italia sembra una buona mossa per l’immediato futuro dato che per ora esiste una materiale impossibilità di raccogliere mezzi freschi, essendo svanita nel nulla l’ipotesi di un aumento riservato ai fondi sovrani.
Con queste premesse, è necessario precisare che una volta completato il piano, alla fine del triennio, Telecom Italia non potrà più fare molto per garantirsi uno sviluppo facendo ricorso solo alle risorse del gruppo, perché tutto il vendibile sarà stato venduto e non le resterà che lavorare sulla rete di nuova generazione.
Quindi, da un lato esiste il problema di dover valutare e misurare costi e benefici di uno sviluppo, comunque necessario, dell’infrastruttura tecnologica – ma con modalità diverse rispetto ad un passato in cui valeva l’ottica monopolistica – e dall’altro lato, per non rimanere chiusi e isolati nel proprio recinto, bisognerà pensare a una soluzione per focalizzarsi su una nuova area di crescita ancor più promettente.
Il tutto, alla luce degli sconvolgimenti di Borsa che hanno ridefinito gli equilibri di mercato e le potenzialità delle forze in campo.
Solo il futuro ci dirà se il ruolo da protagonista di Telecom Italia nello sviluppo di reti e servizi innovativi nel nostro paese è destinato a permanere o se subirà contraccolpi che fino a pochi mesi sarebbero sembrati fantascienza.