Italia nella Watch List del “2011 Special 301 Report” redatto dall’USTR (US Trade Representative) per segnalare i Paesi ad alto tasso di pirateria informatica: è quanto emerso durante la presentazione dei dati Microsoft sui controlli presso i rivenditori della Lombardia, alla presenza di Sonia Tarantolo, viceconsole degli Stati Uniti per gli affari politico-economici.
Il problema è che questo trend può diventare un freno all’immissione di capitali esteri nel nostro Paese. Il fenomeno ogni anno produce infatti ingenti perdite per le imprese ma ora rischia anche di rappresentare un ostacolo per gli investimenti stranieri.
Citando i dati del Rapporto BSA (Business Software Alliance) in collaborazione con IDC e Ipsos, è stato ricordato da Matteo Mille, Direttore Divisione Software Originale di Microsoft Italia, che in Italia il rapporto fra software pirata e legale è pari al 49%, con «preoccupanti livelli di illegalità nell’impiego di prodotti digitali e nella circolazione di contenuti protetti da copyright su internet». Peggio di noi solo la Grecia in Europa (58%). Nel resto d’Europa il rapporto si attesta invece intorno al 33%, in calo rispetto l’anno precedente. Emblematico il caso USA, dove la quota di software pirata è del 21%.
In questo senso, la tutela dell’innovazione sembra un aspetto chiave per la tutela del business: guarda caso, i 20 Paesi più all’avanguardia in questo ambito sono anche nei primi 27 al mondo con il più alto tasso di crescita. Come spiegato da Sonia Tarantolo, «senza una forte protezione della proprietà intellettuale, imprenditori, inventori, artisti, sviluppatori di software e aziende avrebbero poco interesse a innovare e investire».
La situazione però non è così tragica: anche se l’Italia è da anni in Watch List, questa volta siamo stati “rimandati a settembre”, considerati gli sforzi compiuti. Siamo bravi a scrivere le leggi (tra cui il decreto 231 sulla responsabilità d’impresa, che tra l’altro impone alle società private di dimostrare di possedere software genuino tramite controlli interni), ma ora la sfida è quella contro la pirateria online. Sia per grandi imprese, sia per Pmi e studi professionali.
Il sofware pirata, oltre che illegale, comporta anche svantaggi per gli utilizzatori finali: funzioni in meno, rischio di malware e virus in più. Questo accade nel 65% dei casi, mentre nel 34% semplicemente il software presenta malfunzionamenti. Le ripercussioni sono gravi: le più evidenti sono le perdite economiche e finanziarie, a seguire quelle di reputazione e per finire furti di identità.
La strada intrapresa dall’Italia è ben tracciata: oltre ai già citati interventi normativi, è da segnalare anche la legge 171 bis sul diritto d’autore. Ma resta da battere quella dell’educazione. Da parte sua Microsoft contribuisce con delle campagne mirate che sfruttano in gran parte la rete di partner.
La Lombardia è tra le più virtuose a livello nazionale: attraverso il controllo nel tasso di distribuzione fisico, la percentuale di software pirata è calato negli ultimi cinque anni dal 23,5 al 18%. Per quanto riguarda l’online e il mondo dei videogiochi invece la situazione è più difficile, come rilevato dalla stessa AGCOM: l’impatto è di oltre il 38% per le console, 15% per il software, raggiungendo il 46% per gli accessori dedicati.
Come “si regola” Microsoft? Prima parte la fase di investigazione, poi segue una proposta di “rientrare in carreggiata” passando al software originale, con successivi controlli periodici. I procedimenti civili sono attuati solo nei casi recidivi, attestandosi a circa 200 su un totale di 8.000 visite.
L’obiettivo Microsoft è di ridurre il tasso di pirateria dal 49 al 39% in quattro anni, per avere a disposizione una piccola “finanziaria” come PIL generato dal settore IT, e per innescare ricadute positive di tipo economico, occupazionale e di attrazione di investimenti esteri.
Sarebbe facile pensare che sia un problema di prezzi, ma quando questi sono standardizzati a livello europeo come si può spiegare un tasso notevolmente inferiore per i paesi anglosassoni? In ogni caso, per paesi come l’Italia Microsoft ha creato Office Small Business Basic, un prodotto con prezzo d’ingresso più basso rispetto a qualunque Office per le aziende sul mercato europeo. In più, con strumenti come “Microsoft Genuine” mira al “rientro” nella legalità di chi, volontariamente o meno, ha una base installata non originale.
Con i nuovi strumenti cloud a disposizione, come Office 365, si pagherò solo quel che serve e che si utilizza, con erogazione dei servizi tramite data center certificati Microsoft per un controllo più stretto.
Vendere Office 365, Bpos (Business Productivity Online Standard Suite) o l’intero pacchetto Office sulla cloud permette inoltre ai partner di avere la “coda lunga”, con il vantaggio della ricorrenza del rapporto con il cliente, una marginalità garantita e ad alto tasso di ricavo: si aiuta a cambiare il modello di business a ogni livello e, in un mercato come quello IT ad alta flessibilità, permette ai player di cambiare pelle e ricollocarsi in modo competitivo.