La crisi ha accelerato la diffusione dell’Enterprise 2.0 in Italia, ma nella maggior parte dei casi con strumenti che restano ai margini del core business: alla crescita degli investimenti si associa dunque un livello di maturità eterogeneo e discontinuo.
Questo quanto emerge dalla ricerca condotta dalla School of Management del Politecnico di Milano, giunta quest’anno alla terza edizione e illustrata nel corso del convegno “L’Enterprise 2.0 alla resa dei conti“.
Gli investimenti nel 2.0 per il prossimo triennio parlano chiaro: il 35% delle aziende medio-grandi daranno un ulteriore taglio al budget ICT, preferendo orientarsi versi Social Network & Community (42% del campione), progetti UC&C – Unified Communication & Collaboration (32%) e progetti di Enterprise Content Management (31%).
I budget restano modesti, tuttavia, considerando il totale della spesa ICT: in media 110mila euro per iniziative SN&C, per arrivare ai 225mila e 265mila euro per soluzioni di UC&C ed ECM.
C’è quindi molto interesse per gli strumenti 2.0, ma, secondo Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Enterprise 2.0, sembra quasi che le iniziative intraprese si rifiutino di crescere superando la fase sperimentale, per integrarsi al cuore dei processi di business.
Secondo Corso, Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Enterprise 2.0, si sta assistendo a una sorta di “sindrome di Peter Pan“, come se i progetti pilota di Enterprise 2.0 si rifiutasse di crescere una volta superata la fase sperimentale.
Di fatto, l’analisi dell’Osservatorio evidenzia un livello di maturità delle iniziative molto eterogeneo: ad alcuni casi di successo si affiancano molto spesso applicazioni puramente sperimentali o decisamente poco sfruttate; ne sono un esempio blog, forum, wiki, podcasting e videosharing.
Le aziende devono per prima cosa capire che l’Enterprise 2.0 è un fenomeno organizzativo, non tecnologico.