Max Ardigò, Business Transformation Consultant di IBM, ci ha illustrato cosa significa Enterprise 2.0 secondo Big Blue presentandoci strategie e prodotti per le Pmi.
Cosa significa Web 2.0 per IBM?
«Ciò che significa per tutti, considerando la definizione di Web 2.0 di Wikipedia che lo descrive come una piattaforma dove aggregare e ricombinare servizi e informazioni rapidamente, oppure come piattaforma che rende possibile l’innovazione collettiva e partecipativa attraverso lo scambio di informazioni e la collaborazione, proponendo nuovi modelli di business che solo due anni fa erano fantascienza (es. www.zopa.it, www.youbid.it, www.slideshare.net), nati grazie alla predisposizione all’uso da parte di una base molto estesa di utenti Internet (ca. 56% dei 20 milioni di utenti internet italiani utilizza servizi 2.0; dati Politecnico di Milano). Per IBM, Web 2.0, insieme alla Service Oriented Architeture IBM (SOA), significa poter costruire soluzioni e servizi ancora più scalabili, sicuri, stabili, flessibili e nello stesso tempo governabili, in grado di integrare processi di business con comunicazione e collaborazione. Queste soluzioni vengono definite Enterprise 2.0 (SOA+Web 2.0 = Enterprise 2.0)».
Cosa significa Web 2.0 per le Piccole e Medie Imprese Italiane?
«Possiamo definire almeno tre significati: innanzitutto nuove leve competitive dal punto di vista tecnologico e organizzativo che, se ben sfruttate e governate, garantiscono la possibilità di mettere a punto rapidamente soluzioni tecnologiche riducendo i tempi realizzativi dal 30 al 60% rispetto al passato. Un altro aspetto riguarda la possibilità di collaborare, comunicare e innovare come mai prima d’ora si era pensato di fare. Mentre alcune aziende si chiedono ancora “collaborare… ma perchè?”, altre si stanno chiedendo come creare capitale intellettuale e innovazione grazie alle proprie comunità di distretti produttivi, di dipendenti e clienti, stanno co-disegnando i propri prodotti i propri consumatori, trattenendo ed allargando la base clienti grazie ai network sociali, e in alcuni casi delegando ai propri clienti le scelte più difficili e strategiche come ad esempio la scelta dei piatti pronti da industrializzare o la selezione dei migliori talenti edtoriali per una casa editrice (vedi www.zudacomics.com). E le risposte che arrivano sono carice di valore. Infine fare riferimento al 2.0 significa poter spostare il posizionamento dell’IT dall’ambito operativo a quello strategico nella gestione progettuale, nella proposta di soluzioni a valore e nella creazione di nuovi servizi orientati al business e al customer, integrandosi e supportando proattivamente le aree di Ricerca e Sviluppo, Marketing, Commerciale e Risorse Umane».
Per quali motivi una Pmi italiana dovrebbe adottare tecnologie 2.0?
«Per produrre meglio, collaborare, innovare, ridurre i cicli e i tempi di sviluppo, incrementare il controllo dei progetti tecnologici, per essere più vicina tecnologicamente al business e agli utenti finali, per trattenere ed espandere la base clienti. A seconda dei propri obiettivi, c’è un diverso tipo di enterprise 2.0 da adottare».
Quali strumenti 2.0 sono attualmente più utilizzati nelle Pmi?
«Per la comunicazione esterna si utilizzano frequentemente strumenti pubblici (Flickr, Youtube, Slideshare, iGoogle Portal, ecc.) poichè il tema del 2.0 si è sviluppato molto sul versante marketing e comunicazione, che ne fanno uso per amplificare esternamente la vetrina del proprio sito. In alcuni casi c’è una integrazione di questi servizi direttamente nei siti aziendali, che risulta molto efficace per estendere il raggio di presenza e presidio sul Web.
Internamente alcune aziende hanno iniziato a testare alcuni strumenti “in casa”, per avviare sperimentazioni di social network interni (Wikimedia, Blogger) per alcune comunità, naturalmente sviluppando e integrando con customizzazioni ad hoc sia le funzioni sia le esigenze di gestione e sicurezza. Ma gli strumenti più utilizzati sono quelli di comunicazione e collaborazione, dall’instant messaging alla collaborazione documentale che gestisce anche la formazione, per ovvi motivi di risparmio ed efficacia operativa».
Quali sono invece gli strumenti che offrono le maggiori potenzialità ancora inesplorate in ambito enterprise?
«Le aziende hanno iniziato a fare uso esplorativo di mashups (generalmente mappe geografiche con dati di business incrociati). Ma le migliori pratiche di integrazioni relative a processi, persone, informazioni e applicazioni sono i portali di tipo 2.0 (non quelli editoriali ma di integrazione applicativa SOA) attraverso i quali si può aggregare rapidamente sul front-end ciò che serve a un determinato profilo aziendale per lavorare al meglio».
In che modo il Web 2.0, come tecnologia ma soprattutto come filosofia, sta incidendo ed inciderà sui modelli organizzativi delle aziende?
«Inciderà dal punto di vista della relazione sociale tra dipendenti, clienti, partner, comunità, visto che il 2.0 è di fatto una comunicazione a due vie; laddove soluzioni basate sul 2.0 potranno provare il proprio valore, dovranno essere supportate da modelli organizzativi specifici, in grado di trarre profitto dalle indicazioni fornite dalle comunità. Ecco qualche esempio:
– Non più l’applicazione di SCM che gestisce le aste per la fornitura di materiali, ma SCM 2.0 che consente ad un utente di business di esprimere un rating sui fornitori su dimensioni ancora non valorizzate e proporne di nuovi – più bravi, puntuali, precisi, rapidi – alla direzione acquisti.
– Non più la gestione a livello centrale delle performances e dei talenti effettuata con criteri specialistici delle risorse umane, ma il Talent 2.0, ossia una rete di persone, lavoratori, in grado di far emergere i talenti presenti in azienda, indicando all’organizzazione le persone di valore valutate con criteri partecipativi; viene fornito quindi un nuovo punto di vista sul valore del capitale umano ai responsabili aziendali.
– Non più la campagna pubblicitaria “vecchio stile”, ma le azioni sulle meganicchie, il contest con la community e il barcamp dove conoscersi nel mondo reale, stringendo forti relazioni. In questo caso il cambiamento organizzativo non riguarda solo la componente operativa ma anche quella strategica. Inciderà anche dal punto di vista delle relazioni tra IT e Business, e le variazioni organizzative dipenderanno da come la funzione IT è considerata in azienda».
Come si riesce a conciliare l’apertura partecipativa tipica del Web 2.0 con le esigenze protezionistiche delle imprese, come ad esempio la proprietà di processi, prodotti ed idee?
«Con veri strumenti Enterprise 2.0, integrati, flessibili, governabili, adattabili, controllabili, che garantiscano la proprietà delle informazioni e dei processi e che possano essere ampliati e integrati con strumenti e metodi di policy management e di governo, di organizzazione e controllo. Che una informazione si possa socializzare e condividere non significa che tutte le altre informazioni debbano seguire lo stesso percorso: questa è la chiave che differenzia il “Web 2.0” e l’Enterprise 2.0 e dove IBM esprime tutto il suo valore».
Come si struttura, e come si strutturerà, l’offerta di IBM per soddisfare la “voglia di 2.0” delle Pmi?
«Per i clienti che vogliono definire una soluzione di tipo 2.0, IBM propone il Business Value Assessment per analizzare le esigenze e disegnare soluzioni rapide e robuste nell’arco di qualche settimana; queste proposizioni si concretizzano con la potenza di erogazione di servizi dei System Integrators e dei Business Partner IBM, presenti su tutto il territorio italiano.
Per la parte di “social software” – ovvero comunicazione, collaborazione e innovazione – sono disponibili strumenti semplici che sommano alla facilità d’uso e alla richezza di servizi altre caratteristiche ancora più importanti: integrazione nativa tra tutte le componenti, integrazione nativa con la sicurezza, integrazione con la componente di ricerca integrata, modularità per il riassemblaggio del singolo servizio in altre applicazioni, possibilità di fornire il servizio su qualsiasi piattaforma, possibilità di personalizzazione su standard aperti.
Quickr per la gestione del gruppo, della collaborazione e dei suoi documenti, Connections per la gestione dei talenti, del network sociale e delle attività, Lotus Mashups per la composizione rapida di applicazioni situazionali, oppure il nuovo Notes 8 che consente ad un utente, oltre a mandare una mail, di fare business mashups integrando informazioni dai sistemi di backend mediante widgets direttamente sul client di posta.
E infine per la parte di software di portale, il Portale 2.0 IBM che consente di realizzare i portali di ruolo operativo in grado di fornire l’informazione giusta al momento giusto, comporre mashups e creare applicazioni composite di tipo 2.0, e grazie alla componente Portlet Factory integrare dati, applicazioni e processi con metodi SOA di front-end da una sterminata serie di risorse».
Avete già avuto esperienze legate al Web 2.0 con le Pmi italiane?
«Con queste soluzioni abbiamo già aiutato, insieme ai nostri Business Partner, decine di clienti di piccole e medie dimensioni a realizzare rapidamente soluzioni tecniche ma, sopratutto, a cambiare approccio nella modellazione e nell’assemblaggio di soluzioni rapide, sperimentando in modo pragmatico i benefici operativi dell’enterprise 2.0. Due casi per tutti:
Un cliente in area industriale gestiva disegni CAD con collaboratori italiani e indiani; per migliorare la qualità delle interazioni e ridurre il numero di ricicli dei disegni con errori, è stata implementato un portale con collaborazione documentale su Quickr supportata da Sametime per la chat, il voip e la collaborazione sincrona; in questo modo l’ingegnere italiano vede in tempo reale il disegno sulla componente CAD del collega indiano, ha un controllo remoto della postazione per poter fare eventuali modifiche in fase di validazione (e registra la sessione come contenuto formativo) ed è in grado di concludere la fase di disegno con una riduzione di cicli di bozze errate del 70%. Un cliente ha realizzato una migrazione da AS/400 a SAP ERP senza alcun intervento di gestione del cambiamento. Sin dall’inizio avevano implementato il portale IBM per integrare il processo produttivo direttamente da AS/400 sul front-end, ma una volta avvenuta la migrazione il portale è stato “ripuntato” verso il SAP ERP, reintegrando informazioni direttamente dal data layer in Single Sign On, con un impegno di circa 1-2 giorni per ogni portlet che integrava dari SAP. In questo modo il portale è stato riprogrammato sulla base della user experience e quindi deployato. Con il switch-off l’attività produttiva non si è fermata nemmeno un giorno. Come la SOA, l’Enterprise 2.0 è un altro passo avanti nel cammino di innovazione che IBM traccia ogni giorno da 80 anni, insieme alle piccole, medie e grandi aziende italiane».