Pubblicare su Facebook documenti che rivelano debiti può essere giudicato come reato di diffamazione. È la Corte di Cassazione a precisarlo con una sentenza pubblicata lo scorso 14 dicembre, respingendo il ricorso avanzato da una persona che aveva postato sul social network una lettera di messa in mora corredata da offese e insulti rivolti al mittente.
Secondo i giudici della Cassazione si tratta di un comportamento a valenza diffamatoria, sia tenendo conto delle espressioni utilizzate sia delle modalità e del contesto nel quale le stesse sono state divulgate.
Lo scopo finale della condotta, secondo i giudici, è stato quello di esporre la parte offesa al “pubblico ludibrio“.
La sentenza di Cassazione ha anche chiarito l’esclusione della contiguità temporale, poiché la lettera era stata ricevuta tempo addietro rispetto alla risposta diffamatoria, precisando che la causa di non punibilità ricorre qualora il fatto ingiurioso sia immediato come reazione a un fatto ingiusto altrui.
L’immediatezza della reazione deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalità di reazione, in modo da non esigere una contemporaneità tra azione e reazione che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell’esimente in questione e di frustarne la ratio, occorre comunque che tra l’insorgere della reazione e il fatto che l’ha determinata sussista una reale contiguità temporale, così da escludere che il fatto ingiusto altrui diventi pretesto di aggressione alla sfera morale dell’offeso, da consumare nei tempi e con le modalità ritenute più favorevoli.