Il caso Cambridge Analytica non smette di creare problemi a Facebook e iniziano intanto le prime class action: depositata la prima azione legale di massa contro il social network per l’utilizzo improprio dei dati degli utenti ed in Italia il Codacons ha presentato un esposto alla magistratura per verificare eventuali violazioni nel trattamento dati avvenute nel Paese.
Al contempo, l’AgCom ha formalmente richiesto alla piattaforma di Mark Zuckerberg di chiarire l’utilizzo di data analytics per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi.
Il post di scuse del fondatore di Facebook non ha dunque rasserenato un clima incandescente (il titolo sul mercato ha perso il 10% in tre giorni e continua ad essere al centro di forti scambi al ribasso). D’altronde le implicazioni sono troppo gravi e le violazioni oggettive.
La prima azione legale è stata depositata a Sal Josè, in California, e riguarda i danni che gli utenti hanno subito per la mancata protezione dei dati personali. Una strada a questo punto potenzialmente percorribile in tutto il mondo. Sopratutto se le informazioni che Facebook fornirà all’Autorità Garante per le Comunicazioni non daranno certezza sulla tutela della privacy degli utenti.
Il punto, come noto, è il seguente: i dati di 50 milioni di utenti Facebook sono stati utilizzati da una società esterna, Cambridge Analytica, per creare profili psicologici utilizzabili nella campagne di marketing (a quanto pare anche di natura politica). Un business miliardario, basato sull’utilizzo di dati di utenti ignari.
Sono diversi gli aspetti interessanti della vicenda, alcuni scontati altri meno: la prima considerazione è che viene colpita quello che è, tradizionalmente, il punto debole di Facebook, ovvero la privacy. Una direzione che, diciamolo, è anche al centro della strategia commerciale del social network ma che è continuamente a rischio di sfuggire di mano dal punto di vista del rispetto delle regole.
Lo scandalo dei dati, è bene chiarirlo, non riguarda programmi particolarmente sofisticati utilizzati per entrare illegittimamente negli archivi di Facebook. I dati che Cambridge Analytica ha utilizzato sono alla portata di tutti, la società li ha semplicemente utilizzati. Qui sta anche il punto debole “legale”, perché le policy di Facebook dovrebbero impedire l’utilizzo di dati da terze parti.
Per riassumere, il primo aspetto fondamentale è rappresentato dal fatto che potrebbe essersi scoperchiato il vaso di Pandora. Un risultato positivo potrebbe essere rappresentato dal fatto che la questione della privacy e dell’utilizzo dei dati verrà definitivamente affrontata. E’ però possibile che, in realtà, il tutto si risolva con generiche rassicurazioni di sicurezza ripristinata o con nuovi regolamenti inefficaci.
La seconda considerazione, riguarda invece il valore dei dati. Una class action, per definizione, chiede un risarcimento danni. In queste cause legali deve essere quantificato il danno che il ricorrente ritiene di aver subito. Ebbene, come si misura questo danno? Quali cifre rischia di dover spendere Facebook per risarcire i suoi utenti della perdita dei dati? E l’utilizzo dei dati che sarebbero stati utilizzati per influenzare la campagna elettorale americana (o il referendum sulla Brexit) può a sua volta provocare nuove cause? Per non parlare del mercato: la CNN riferisce di un azionista che ha denunciato Facebook per i crolli di Borsa. Staremo a vedere.