A poche settimane dal rilascio della nuova versione di Ubuntu 11.04 denominata Natty Narwhal (narvalo elegante), prevista per fine aprile, sono andato a scorrere le principali caratteristiche della nuova versione di distro Linux.
Le innovazioni non sono poche: in primis l’adozione di Unity come desktop di default al posto di Gnome e, per una gestione migliorata degli acceleratori grafici, l’abbandono di OpenOffice.org
come suite per l’ufficio in favore di LibreOffice 3.3.
Il gruppo di Canonical sta dunque spingendo le scelte verso un potenziamento della gestione di notebook e netbook e, in generale, di tutti i dispositivi portatili, nuovo terreno di sfida del mercato.
Altro impatto inevitabile sul mondo Open Source lo ha ingenerato lo “shopping di Oracle”, che ha acquistato SUN con tutto il suo contenuto di software libero: le reticenze su mantenimento ed evoluzione di prodotti distribuiti con licenza GPL o da essa derivata stanno generando lamentele dal mondo FLOSS sulla mancanza di risposte chiare in merito al destino dei prodotti “liberi” acquisiti con SUN.
Un esempio lampante è il fork di The Document Foundation, che ha “ricompilato” il software di OOo (OpenOffice.org) modificandone il logo e indicando le nuove direttive che prenderà questo software: maggiore compatibilità con i prodotti della suite commerciale Office di Microsoft e progressivo distacco da Java.
E gli utenti? Di certo, chi opera nell’IT e conosce le dinamiche del mondo Open Source non sarà stupito e nemmeno preoccupato. Ma tutti quegli utenti per i quali il cambiamento costituisce uno stress? Come reagiranno ad esempio i neofiti, già ora scettico “zoccolo duro” che si oppone all’adozione del software libero in virtù del cambiamento che “impone una reazione” (come citava una canzone di Paolo Bertoli!)?
Personalmente, temo che queste diversificazioni creino confusione e distacco, così come avvenne con le “personalizzazioni” dei primi UNIX negli anni ’70.
Allora i flavour proposti dai colossi informatici dell’epoca (IBM, HP, Digital e SUN per citarne alcuni) diversificarono i sistemi a tal punto da frammentare il mercato e avvantaggiare l’emergente OS di Microsoft, malgrado le difficoltà dei sistemi operativi che la casa di Seattle proponeva all’epoca.
Si assiste ad un proliferare di distribuzioni che stanno sempre più perdendo la connotazione di “libero” in favore di un supporto commerciale che non si limita solo alla fornitura di servizi ma invade lo spirito vero e proprio del software libero.
Si pensi a Suse di Novel e RedHat di IBM su tutti.
Per lo meno, queste scelte tendono a incentrare l’interesse a software enterprise, ovvero destinato ad applicazioni da “server dipartimentali”, lasciando mano libera al mondo Workstation che vede per l’appunto il proliferare di distribuzioni che, con differenze talvolta minime, si propongono all’utenza.
Sono fiducioso che, malgrado i continui fork di applicazioni, il mondo degli appassionati resterà vivo e prolifico. La mia paura è che rimanga, per l’appunto, un mondo di soli appassionati, quando avrebbe tutti i numeri per una diffusione capillare a tutti i livelli, dalle scuole alle aziende alla Publica Amministrazione.