Telefonini, computer, televisori, palmari e quant’altro, dopo un ciclo di vita sempre più breve diventano tecno-spazzatura, che va aumentando sempre più. Chi ha il compito di governare l’innovazione non può ignorare le conseguenze che essa ha sull’ambiente e sulla società, e proprio in questo senso va la normativa europea che dal 1° gennaio 2008 obbliga i produttori di apparecchiature elettroniche al riciclo e smaltimento dei prodotti elettronici usati.
I RAEE – rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche sono la categoria di rifiuti che aumenta con più rapidità, facendo registrare, in Europa, un tasso del 3-5% annuo, tre volte superiore ai rifiuti normali. Stando ai dati dell’UE del 2005 ogni cittadino europeo produce tra 17 e 20 kg di questi rifiuti all’anno, in Italia siamo leggermente sotto questa media, circa 14 kg nel 2007.
Per risolvere il problema non bastano i programmi di recupero del materiale usato. Ne è convinta Gartner, che nei giorni scorsi ha presentato una propria riflessione sull’impatto delle politiche e delle direttive della Ue in materia di smaltimento dei rifiuti elettronici.
In particolare, la società di analisi fa riferimento alla direttiva Weee (Waste Electrical and Electronic Equipment) e alle sue declinazioni in circa 40 Paesi.
Secondo Gartner, affidare ai produttori la responsabilità della raccolta e del riciclo dei rifiuti elettronici è un incentivo a progettare dispositivi più semplici da smontare e a introdurre metodologie di produzione che implichino l’utilizzo di meno materiali differenti e soprattutto meno materiali inquinanti.
Lasciare la sola responsabilità ai produttori porta con sé una serie di controindicazioni sia di tipo organizzativo sia di natura economica: è inevitabile che allo stato attuale delle cose i maggiori costi finiscano per essere ribaltati sull’utente finale o sulle aziende clienti.
È necessario, invece, coinvolgere anche le aziende utenti, che in questo momento non si sentono parte in causa. Le normative che delegano la responsabilità ai produttori sembrano essere vissute come una forma di assoluzione e di esonero da un approccio più responsabile ai temi dello smaltimento che, invece, deve riguardare chi consuma tanto quanto chi produce.