«Queste società devono finirla di far passare per tassa ciò che in realtà non è. É giusto che facciano pagare solo il costo della telefonata, non ha senso rimetterci 2 o 5 euro ogni volta». L’esternazione del Ministro per le Comunicazioni Bersani durante la trasmissione Ballarò palesa la volontà anche da parte del Governo a intervenire nella lotta all’abolizione dei costi di ricarica.
Tutto ebbe inizio l’Aprile dello scorso anno, quando il giovane studente Andrea d’Ambra diede inizio a una petizione per dare voce a uno scontento ampiamente diffuso tra gli Italiani, che infatti risposero numerosi (ad oggi in più di 800.000 hanno aderito alla raccolta di firme). Grazie a questa iniziativa la Commissione Europea si pronunciò con una denuncia ufficiale alla quale fece eco l’interessamento da parte di programmi televisivi e personaggi famosi come Beppe Grillo, fino all’intervento di Agcom (l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni). Questa, a seguito di un’indagine conoscitiva condotta con l’Antitrust, ha pubblicato un documento dal quale si evince che le vittime dei costi di ricarica sono principalmente studenti e pensionati, o comunque tutti coloro che effettuano ricariche di minore entità. Per i manager, invece, l’incidenza del costo fisso risulta essere decisamente minore: i 5 euro aggiuntivi pesano molto di più su una ricarica da 25 euro che su una da 250. Inoltre le aziende usufruiscono più spesso di contratti piuttosto che di schede prepagate.
Questi costi fissi di ricarica rappresentano una anomalia tutta italiana che nel solo 2005 ha fruttato agli operatori telefonici ben 1,7 miliardi di euro con una crescita dei ricavi pari al 30,2 % in tre anni. A questo si aggiunge anche il vantaggio finanziario derivante del pagamento anticipato, stimabile tra i 20 e i 200 milioni di euro. Dal canto loro Tim, Vodafone, Wind e Tre giustificano il sovrapprezzo adducendo le spese connesse ai canali di distribuzione della scheda di ricarica, siano essi l’edicola o la banca, a cui è dovuto un giusto compenso. Compenso che è però stato stimato in circa 769 milioni annui, lasciando agli operatori un margine di ricavo che ammonta a 945 milioni, senza contare che la ‘gabella’ è applicata anche alle ricariche effettuate online e quindi senza particolare spese da parte della società.