In questi giorni è in corso il Google Bombing ordito dal Partito dei Pirati e finalizzato a divulgare un’idea: che il WiMax sia liberalizzato. Cioè che siano libere le frequenze da utilizzare per il WiMax, laddove invece il Ministero è intenzionato a pubblicare un’asta per assegnarle a licenziatari.
Sulla liberalizzazione è d’accordo l’Associazione antidigital divide, che al WiMax tiene in modo particolare perché è la possibilità di portare la banda larga, a bassi costi, anche in zone isolate e periferiche, prive di fibra ottica e di Adsl. “Perché non essere, una volta tanto, dalla parte dei cittadini ed evitare l’ulteriore nuova gabella liberalizzando, con regole ferree, le frequenze per il WiMax sulla falsariga di come è stato attuato per il WiFi?”, propone l’associazione.
Diciamolo subito: è impossibile che tali azioni possano convincere il Governo a liberalizzare le frequenze, anche perché è un orientamento europeo fare aste per il WiMax. È stato così in Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Regno Unito; persino in Grecia. Di per sé, inoltre, l’asta non comporta la morte delle potenzialità della tecnologia, come dimostrano le tante offerte WiMax uscite finora altro in Europa e in grado di competere persino con l’Adsl, per costi e banda di picco; con tanto di illimitate chiamate VoIP incluse nel canone.
Licenziare le frequenze, inoltre, è un bene per la qualità del servizio: è il modo più facile per proteggerle. Assegnandole a precisi operatori vincitori dell’asta, in aree geografiche definite, si evitano interferenze causate da sovrapposizioni e da operatori che non rispettano le regole di emissione. Certo, come propone l’Antidigital divide si potrebbero porre regole ferree per un uso razionale dello spettro condiviso; ma non sarebbe facile farle rispettare. L’Italia non riesce nemmeno a proteggere i servizi radio autostradali da emittenti che si sovrappongono al segnale.L’assenza di interferenze, la qualità garantita del servizio sono aspetti che il WiFi non riesce a gestire bene; eppure sono importanti, soprattutto le aziende, per le quali il WiMax in potenza può essere molto utile. Persino più dell’Adsl e quanto l’SHdsl, poiché il WiMax ha banda larga simmetrica.
In realtà, sono altri gli aspetti per cui bisognerebbe battersi, se si vuole tutelare l’innovazione che è nel cuore del WiMax. Tre, in particolare. Per prima cosa, stare con il fiato sul collo del Ministero perché mantenga i patti e non accumuli altro ritardo con il bando dell’asta. Si sa che solo a dicembre il Ministero della Difesa ha raggiunto un accordo con quello delle Comunicazioni per cedergli le frequenze che l’Europa ha fissato per il WiMax (3,4-3,6 GHz). Ci hanno messo tempo per contrattare, perché la Difesa ha diritto a un indennizzo in cambio delle frequenze.
Già, anche per pagare la Difesa serviranno le aste: è uno dei motivi per cui è impensabile che il Governo liberalizzi. La colpa dell’Italia è stata di avere trascurato il WiMax negli anni passati, quando altri Paesi già correvano. «L’Etsi (European Telecommunications Standards Institute) già dal 1998 aveva raccomandato i Paesi membri ad assegnare le frequenze 3,4-3,6 GHz per servizi di telecomunicazioni- allora per il Wireless local loop. Altrove si sono adeguati, in Italia le abbiamo lasciate alla Difesa», spiega Maurizio Dècina, ordinario di reti e telecomunicazioni presso il Politecnico di Milano.
Il WiMax italiano eredita questo problema. Gli altri Paesi europei hanno fatto in fretta perché le frequenze in questione erano già disponibili da anni. Alcuni operatori (Altitude, in Francia, per esempio) hanno cominciato a offrire servizi WiMax prima che ci fossero aste dedicate, usando -con una qualche forzatura- la licenza che avevano come operatore Wireless local loop: tanto le frequenze erano le stesse.
Seconda cosa da vedere con attenzione: far sì che le aste non taglino le gambe al WiMax. In questo senso, le preoccupazioni di Antidigital Divide hanno ragion d’essere: il pericolo è che succeda come con il Wireless local loop, cioè che le frequenze finiscano perlopiù in mano a grossi operatori, poco intenzionati a usare in modo innovativo questa tecnologia. Chi ha interesse davvero, infatti, ad andare nei posti non raggiunti da Adsl e a fare concorrenza alle tradizionali tecnologie banda larga su cavo? Gli operatori medio-piccoli, concorrenti agguerriti dei leader del settore. Ma per fare spazio ai piccoli c’è bisogno di aste che siano almeno in parte “beauty contest”, come già propone Stefano Quintarelli, presidente di Aiip (associazione dei principali provider italiani).
Cioè, si spera che per assegnare le licenze non si tenga solo conto del migliore offerente, ma anche della qualità del progetto, del suo valore di innovazione e per lo sviluppo per il Paese. Altrimenti è destino che se le aggiudichino gli operatori più danarosi. I quali, per non alterare gli equilibri a cui tengono, potrebbero limitarsi a usare il WiMax solo per backhauling (trasporto dati) su rete fissa e mobile e non per l’accesso a Internet. Oppure potrebbero permettersi di comprare le licenze e non utilizzarle. Proprio come hanno fatto con il Wll. Del resto, l’asta francese di luglio è stata in parte beauty contest e ha visto il trionfo di operatori minori, mentre France Telecom è rimasta a bocca asciutta. A decidere i criteri delle aste sarà l’Autorità Garante delle Comunicazioni (Agcom), che, a riguardo, ha già cominciato i lavori. Dureranno fino a maggio.
Terzo aspetto: finora abbiamo parlato di WiMax dando per scontato che si tratti della sua versione da postazione fissa (802.16d), la sola di cui adesso ci sono servizi al pubblico. In teoria, però, le aste potrebbero abilitare anche la versione “mobile” (802.16e), concorrente teorica dell’Umts e in grado di portare accessi banda larga ovunque, in mobilità. «Si pone a questo punto un problema, però», continua Dècina. «Le frequenze 3,4-3,6 sono troppo alte per un uso mobile. Bisogna che se ne liberino altre e ci sono solo due alternative. Usare quelle “televisive”, della banda Uhf liberabili in occasione del passaggio al digitale terrestre. Oppure quelle tra i 2,2 e i 2,4 GHz, utilizzate in Corea dal Wibro, sule quali, però, in Europa hanno già messo gli occhi gli operatori mobili. In entrambi i casi servirebbe una presa di posizione politica forte, perché si tratta di andare contro due lobby potentissime: della tv e dei cellulari». La battaglia continua.