RFID è una sigla ancora poco conosciuta al grande pubblico, ma che nel giro di pochi anni potrebbe rivoluzionare le nostre abitudini, anche quelle lavorative.
La possibilità di dotare qualsiasi oggetto di un’etichetta “intelligente” – capace cioè di comunicare in radio frequenza con lettori a poca distanza e collegati a sistemi informativi – ne ha già favorito infatti una rapida diffusione nei magazzini e nella logistica per la gestione delle merci.
Ma i campi di applicazione di questa nuova tecnologia non sembrano limitati semplicemente a pacchi di pasta e vestiti, e potrebbe coinvolgerci in più momenti della nostra esistenza. Non senza qualche rischio e molte polemiche, però.
Si parla – infatti – delle possibilità di estenderne ora l’utilizzo anche nella vita di tutti giorni, e soprattutto in altri settori dell'azienda. Per esempio, un badge dotato di chip RFID sarebbe in grado di segnalare l’ingresso e l’uscita di un dipendente dall’azienda senza dover effettuare alcuna “timbratura di cartellino”. Sarà sufficiente transitare nei pressi di un lettore per registrare data e ora di ogni passaggio: in pratica, una specie di Telepass.
L’idea, naturalmente, non dispiace alle aziende, ma è importante anche precisare che in questo modo sarebbe facile arrivare a controllare ogni movimento del dipendente all'interno degli edifici aziendali.
In presenza di evidenti ragioni di sicurezza, potrebbe anche essere giustificato, ma è evidente anche il pericolo di un controllo oltre il lecito. Un Grande Fratello aziendale che potrebbe essere tanto utile per l’azienda quanto deleterio. Soprattutto se, come si sta già sperimentando negli USA, la tecnologia RFID sarà integrata nei telefono cellulari. O addirittura sottopelle.