3D printing, ovvero la stampa degli oggetti

di Barbara Weisz

Pubblicato 18 Marzo 2011
Aggiornato 24 Febbraio 2018 09:56

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Una tecnologia innovativa per produrre oggetti personalizzati utilizzando una macchina assimilabile alla stampante. L'esempio di Within Technologies.

È una delle ultime frontiere delle nuove tecnologie, e secondo alcuni promette di rivoluzionare l’intera industria manifatturiera mondiale. Ci sono delle macchine, che gli inglesi chiamano “fabber”, perché letteralmente fabbricano oggetti. Anzi, in realtà li stampano utilizzando uno specifico software è possibile disegnare un quasiasi oggetto. A questo punto è sufficiente schiacciare il tasto print e si aziona il fabber che produce quanto richiesto.

Tutto questo è possibile grazie a un particolare tipo di inchiostro, una polvere di polimeri, di titanio, di metalli, o di una fibra di carbonio chiamata carbonmide. È un modo per produrre oggetti unici, non prodotti di massa. Ma certo non sfugge che si tratta di un tipo di tecnologia che, nel futuro, potrebbe portare cambiamenti molto importanti nell’industria manifatturiera.

Fra i pionieri del settore, la londinese Within Technologies, fondata da un ingenere esperto di robotica formatosi alla University College di Londra, Siavash Mahdavi, che oggi ha 31 anni e che è fondatore anche di un’altra azienda, la Digital Forming, attiva nello stesso settore.

La Within si concentra ad esempio sui materiali e sulla ricerca biomedica (è in attesa del via libera della Food and Drug Administration americana per la prima testa di femore “stampata” da applicare su un paziente). Questo è uno dei settori di applicazione, ma non l’unico: fra i clienti della Within ci sono scuderie di Formula 1, costruttori di aerei, produttori di scarpe.

In tutti i casi, si studiano software che lavorano su materiali innovativi e li rendono flessibili, adattabili alle piu’ disparate esigenze produttive. Digital Forming invece lavora su beni di consumo: oggetti d’arredamento, abbigliamento, gioielli. Anche qui, ci sono software che disegnano gli oggetti seguendo richieste specifiche del cliente (la forma, il colore) che li possono ricevere direttamente a casa.

Si tratta di tecnologie che vengono sperimentate e utilizzate anche al Media Lab del Mit di Boston, e a cui si stanno dedicando diverse aziende: la newyorchese Shapeways, spin off di Philips, oppure la tedesca Eos o l’americana Stratasys.

Le reali potenzialità di queste tecnologie sono ancora tutte da scoprire: vengono eliminati una serie di processi produttivi, con tutte le conseguenze che questo può avere in termini industriali e occupazionali, vengono introdotte novità nel rapporto fra aziende e consumatori.

Secondo Mahdavi si tratta di una possibile risposta occidentale alla concorrenza asiatica dei prodotti a basso costo. L’Economist che a questo settore ha dedicato una copertina nel febbraio scorso, fa notare come in realtà i produttori asiatici possono come tutti gli altri inserirsi in questo nuovo mercato. Il quale è destinato ad avere conseguenze importanti non solo per l’industria produttiva e per il mercato del lavoro, ma anche sul fronte della proprietà intellettuale. «Così come nessuno avrebbe potuto predire quale sarebbe stato l’impatto della macchina a vapore nel 1750, o della stampa nel 1450, o dei transistor nel 1950, è impossibile prevedere quello di lungo termine della 3d printing» scrive il settimanale britannico, secondo cui nel lungo termine questa tecnologia potrebbe comunque espandere le potenzialità dell’industria e della creatività.