Alcune aziende capitanate da IBM hanno da poco sottoscritto il patto Open Cloud Manifesto, raccolta di principi base nati per avviare un proficuo dialogo in ambito Cloud e assicurare alle aziende libertà di scelta e flessibilità. Mancano però all’appello società del calibro di Google e Microsoft.
L’informatica tra le nuvole offre alle aziende un alto potenziale, tuttvia penalizzato da una certa chiusura e mancanza di flessibilità.
Per minimizzare tali problematiche, l’Open Cloud Manifesto si è incaricato di identificare alcuni standard al fine di offrire realmente al comparto IT un ambiente aperto.
Ciò si traduce nella possibilità di scegliere il servizio cloud più appropriato con la certezza di poter passare con semplicità ad un’altra soluzione, e con la garanzia di flessibilità, velocità e agilità. Il tutto, potendo anche integrare più sistemi cloud tra loro.
Già sottoscritto da società del calibro di Akamai, AMD, AT&T, Cisco, EMC, IBM, Novell, Red Hat e Sun Microsystems, l’Open Cloud Manifesto annovera però alcuni illustri assenti, tra cui Microsoft e Google, ma anche Salesforce, Oracle o Amazon.
A detta dei vertici di Redmond, il documento mancherebbe di apertura e della reale volontà di portare avanti un vero confronto, rappresentando in realtà il pensiero di una piccola percentuale di aziende, intenzionate a “controllare” l’evoluzione del Cloud Computing.
Amazon, HP e Salesforce, dal canto loro, giudicano il documento eccessivamente generico e incapace di offrire un vero contributo al dibattito in atto. Ancora misteriosa la posizione di Google, inizialmente intenzionata a partecipare all’iniziativa e attualmente semplice osservatore.