Cloud Computing, Digitalizzazione della PA, pagamenti elettronici tramite identità digitali, e-Commerce: sono tra le leve per il rilancio economico dell’Italia, con l’ingresso definitivo delle nuove tecnologie nelle imprese, nelle pubbliche amministrazioni e nella vita dei cittadini. E Poste Italiane lavora su tutti questi assi: ce ne parla Vincenzo Pompa, amministratore delegato di PosteCom, società d’innovazione tecnologica del Gruppo, specializzata nello sviluppo, gestione e integrazione di servizi Internet, Intranet e di Certificazione Digitale.
Voi che lavorate a tutto tondo su temi cruciali per l’innovazione, quali opportunità vedete aprirsi in Italia in questa fase? Penso all’Agenda Digitale e alla corsa del Cloud, aspetti che si reggono a vicenda.
La digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni dà opportunità indubbie, poiché è occasione di risparmio per lo Stato. L’ICT dà benefici ma bisogna vedere se le PMI sono in grado di coglierli. L’Agenzia per l’Italia Digitale ha tanti dossier sul tavolo: la razionalizzazione dei datacenter e Cloud, i pagamenti elettronici, associati all’identità digitale, la digitalizzazione dei processi della PA. Se già si riuscisse a mettere a punto tutto questo, si darebbe una grande spinta alle imprese e all’ottimizzazione dei processi della PA.
E quale è il ruolo di Poste in questo cambiamento?
Abbiamo in casa tutto quanto serve. Possiamo avere un ruolo sullo sviluppo del Cloud Computing e quindi dell’ICT nelle aziende, perché abbiamo l’infrastruttura e un’offerta matura. Gestiamo da sempre i pagamenti elettronici per milioni di clienti. Abbiamo strumenti unici sul mercato, sicuri, come PostePay, che è in tasca di 13 milioni di italiani. Possiamo offrire servizi verso la PA, visto che per esempio gestiamo già la Cec-Pac con Telecom Italia e forniamo altri servizi di eGov. Infine: nell’Agenda europea 2020 l’identità digitale è un profilo utilizzabile su tutti i canali della Pa, in ottica federata. Come Poste, possiamo associare un profilo digitale, federato tra le PA, a un indirizzo fisico. Lo stesso processo che utilizziamo per vendere una firma digitale potrebbe essere applicato per la gestione di un’identità digitale. Questa potrebbe essere scalabile con diversi livelli di sicurezza a seconda degli scopi. Se devo accedere alla mia cartella sanitaria non mi bastano user name e password, può essere anche richiesta una firma digitale o un token. Tutto ciò può essere gestito da Poste.
Ma che state facendo in questo ambito?
Abbiamo già lanciato PosteID, integrato nella nuova PostePay. Permette di pagare con un click via smartphone. Questo viene securizzato tramite un certificato (che parla con una chiave privata nel nostro server) e il riconoscimento de visu presso uno sportello Poste (da fare una volta sola). Così certifica l’identità della persona. Lo abbiamo adottato su PosteShop per acquisti e-Commerce. Stiamo lavorando con altri soggetti privati per la gestione dell’identità o la gestione semplificata del pagamento, per permettere agli utenti di comprare su siti diversi. PosteID è da sola una soluzione che identifica, permette l’accesso, permette il pagamento con un click e permette di firmare un documento.
Con la PA in che modo state lavorando, invece?
La soluzione per la gestione dell’identità digitale con smartphone securizzato sarebbe l’elemento certificante dell’identità digitale per i servizi della PA. Siamo presenti in una piattaforma unica di pagamenti che l’Agenzia sta lanciando, con Banca d’Italia. È un portale dei pagamenti per pagare tutti i servizi della PA in vari modi, a scelta del cittadino. Su questo portale abbiamo lo strumento Fesp (Front end servizi di pagamento), basato sul bollettino. Permette di associare fino a cinque bollettini elettronici alla stessa pratica. L’avvenuto pagamento tramite bollettino elettronico garantisce l’incasso per la pubblica amministrazione. Le cifre pagate sono smistate nel back-end di Poste. L’utente potrà quindi scegliere se usare il Fesp, Banca Sella, Sisal Pay o altre soluzioni per pagare qualsiasi servizio della PA.
Sulle PMI che state facendo per sostenerne la digitalizzazione?
Le PMI: gioia e dolore del mercato italiano. Tutte le vorrebbero ma è difficile conquistarle. Noi abbiamo un’offerta cloud, in tre forme: server e storage Iaas; servizi workflow e di gestione documentale con annessa dematerializzazione; strumenti di comunicazione e collaborazione, in partnership con Microsoft. Quest’ultimo è di fatto l’Office 365 ma con gli strumenti di sicurezza integrati. Gli utenti potranno applicare al documento firma elettronica, PEC e servizio di conservazione sostitutiva. A breve integreremo anche raccomandata, telegramma e lettera online.
Ma come rispondono le PMI a questa offerta?
L’offerta Iaas è più difficile da spiegare, mentre la terza, “Comunica e collabora”, la stiamo vendendo bene nonostante il battage pubblicitario non sia ancora partito. Sono comunque numeri bassi ma soddisfacenti per un servizio appeno lanciato.
Ultimo asse, l’e-Commerce.
Da un anno forniamo alle aziende un pacchetto completo per sbarcare su e-Commerce e cominciare a vendere online. Abbiamo venduto a più di 500 siti, in questo modo. Abbiamo davvero intercettato le esigenze di soggetti che prima non si erano mai avvicinati all’e-Commerce. Non solo. Stiamo facendo accordi internazionali per consentire alle Pmi di vendere anche all’estero. A luglio abbiamo firmato con le Poste cinesi e ora lavoriamo per rendere operativo quest’accordo che semplifica la vita delle aziende interessate a vendere prodotti in Cina.
In sintesi: siete ottimisti o pessimisti in questa fase, per le sorti tecno-economiche dell’Italia?
Siamo ottimisti perché vediamo che c’è interesse dal mercato. Dopo l’accordo con la Cina molte aziende chiamavano il nostro centralino per avere informazioni. Non mi era mai capitato. Si sta affermando l’idea che il digitale può essere la via per la crescita. Ma su tutte queste attività di cui abbiamo parlato finora, l’Italia è in ritardo rispetto al resto dei Paesi. Ci sono sì segnali di cambiamento, ma bisogna lavorare molto per colmare il gap. Soprattutto quello del digital divide culturale.