Sempre più spesso, nelle riviste specializzate e nei convegni di settore, si sente parlare di grandi opportunità per le aziende legate alla tecnologia RFId (Radio Frequency Identification), la possibilità di applicare a elementi di diversa natura (singoli prodotti, confezioni, imballaggi, pallet, container, ecc.) delle etichette ‘intelligenti’, capaci cioè di comunicare via radio con un sistema informatico grazie al semplice transito nei pressi di un lettore e senza la necessità di un’operazione manuale, come tipicamente avviene invece con i codici a barre.
Come sovente capita però in presenza di nuove opportunità sul mercato, non sempre è facile per le aziende riuscire a comprenderne reali potenzialità e benefici e come ‘calare’ tale novità nel proprio contesto operativo.
Questi sono alcuni degli obiettivi che si è posta la LIUC, l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza, in provincia di Varese, con la realizzazione, in collaborazione con la CCIAA provinciale, di un laboratorio con sede nella vicina Gallarate e concepito, come spiega l’ateneo, "per aiutare le piccole e medie imprese nell’implementazione della tecnologia RFId nell’ambito della propria attività: gestione dei magazzini, delle manutenzioni nonché degli ordinativi".
La responsabilità del laboratorio è stata affidata al Professore, Luca Mari, ordinario di Misure elettriche ed elettroniche della facoltà di ingegneria della LIUC stessa, che illustra in dettaglio le finalità dell’iniziativa RFId Lab #ID e i benefici che le PMI, non solo locali, possono ricavarne.
PMI.it: A che cosa è dovuta la forte crescita di attenzione che negli ultimi tempi si registra intorno alle tematiche RFId?
Luca Mari: A due fattori principali. Da una parte, la diffusione dei tag passivi, sempre più piccoli, montabili su pellicole flessibili o addirittura stampabili all’interno di confezioni e dall’altra a costi di produzione sempre più bassi. Esiste poi una serie di innovazioni e ragioni strutturali e sistemiche per cui a tutt’oggi nonostante in pratica sia successo poco niente, tutti si sono accorti che ne vale la pena. Non dobbiamo però stupirci di questo; d’altra parte, una cosa del genere è successa con il Web: non è stata tanto un’invenzione di per sè, ma il modo di proporla o presentare un insieme di tecnologie.
PMI.it: Dal punto di vista delle aziende, tutto questo si traduce già in pratica, oppure ci si limita a studiare la questione?
Luca Mari: È certamente vero che già oggi i sistemi RFId stiano diventando opportunità considerevoli, e i margini di crescita sono veramente significativi. Gli scenari sono molteplici. Si va grande player che impone la sua tecnologia di gestione a tutti i partner minori (l’esempio classico è quello di WallMart negli USA) dove, in pratica, viene chiesto ai partner di una grande azienda, di fornire i dati in un certo formato. Quindi, esiste un attore di una certa forza che impone il suo punto di vista. Se poi questo rimanga confinato un ambiente per quanto ampio o tenda a esser esportato, al momento non possiamo ancora dirlo.
PMI.it: Per chi invece opera al di fuori di una filiera, quali prospettive si presentano?
Luca Mari: Esistono realtà con un particolare interesse all’innovazione o esigenze specifiche che rendono vantaggioso adottare tecnologie di questo tipo, anche solo per un impiego delimitato. L’esempio classico è quello della logistica interna. Se uno ha problematiche nella produzione, attacca i tag sulla materia prima e virtualmente li stacca o li disabilita sul prodotto finito. Quindi RFId in queste situazioni può essere utilizzato per un aumento di efficienza interna, a prescindere dalla dimensione dell’azienda. Quello che conta è la natura del problema che si vuole risolvere
PMI.it: Quando si parla di RFId i temi più ricorrenti sono la logistica e la gestione di magazzino. Esistono anche altre possibili aree di applicazione?
Luca Mari: C’è tutta una serie di situazioni intermedie, strutturalmente interessanti, dove si entra nella logica collaborativa della filiera, che sceglie di dotarsi di tecnologie per lo scambio condiviso di informazioni e, da quello che vediamo, si incontrano situazioni abbastanza interessanti. Per esempio, proprio in questi giorni, un operatore mi ha chiesto di provare a fare un giro, dotato di lettore RFID, per il suo magazzino in modo da scoprire la presenza di eventuali oggetti già etichettati. I suoi fornitori questo non lo dicono, ma a volte proprio perchè neanche i loro sanno se il produttore a sua volta li utilizza. Il problema comunque non sarebbe tanto trovare il segnale, ma riuscire a interpretare il codice dal momento che, anche se si captano dei segnali, i dati sono in codice esadecimale.
PMI.it: Allo stato attuale, secondo lei, come dovrebbe muoversi una PMI di fronte a questa opportunità?
Luca Mari: Dal punto di vista delle PMI credo che il discorso non possa essere generalizzato. Non è la stessa cosa operare come fornitore o sub fornitore a magazzino di una grande azienda che ha imposto determinati standard o lavorare su commessa esportando il proprio prodotto.
PMI.it: Restando in quest’ambito, chi è che allora può guardare con favore ai sistemi RFId?
Luca Mari: Al momento, questa è una domanda da 100 milioni di dollari. Di mestiere faccio il professore e non potrei fare affermazioni che non sarei in grado di giustificare. Le metodologie per l’identificazione degli scenari appropriati non sono ancora così diffusi e non sarei neanche onesto se di fronte a una domanda del genere dessi una risposta. Non per niente, è stato realizzato questo laboratorio al quale sono state affidate due missioni, una di formazione e informazione estesa e l’altra di disponibilità nei confronti di aziende per fare studi di fattibilità. D’altra parte, se esistessero metodologie affermate non ci sarebbe neppure bisogno del laboratorio Uno degli obiettivi che ci poniamo è proprio riuscire a produrre delle metodologie.
PMI.it: Se consideriamo per esempio un’azienda tessile, come ce ne sono tante nella zona, ritiene che dovrebbe interessarsi a RFID oppure non avrà problemi a continuare a lavorare come ha sempre fatto?
Luca Mari: In generale, la risposta è: è da esplorare. Se fossi il rappresentate di una società che vende soluzioni RFId direi ovviamente di sì ma, per onestà, la risposta deve essere: può essere, bisogna verificare. Non per niente quando facciamo studi di fattibilità non garantiamo a priori la risposta positiva. Di solito, da un primo colloquio, emerge subito dove non è certamente utile dedicare attenzione, e dove invece è più interessante fare ulteriori valutazioni. Comunque, per quanto riguarda il tessile, è effettivamente una delle aree dove ci interpellano più spesso, gli scenari possibili sono molteplici e il numero di richieste che riceviamo tutti i giorni lo conferma.
PMI.it: Resta sempre preponderante l’aspetto della filiera, oppure c’è anche ci è disposto "a ballare da solo"?
Luca Mari: Di solito, entrano sempre in gioco, la logistica o la filiera. Per entrare nella gestione della produzione, soprattutto a livello interno, credo che il processo debba essere sufficientemente complesso da giustificare soprattutto il costo organizzativo più che il singolo oggetto. Un problema che spesso mi sento porre è: "che cosa dobbiamo etichettare: il container, il pallet, la confezione, il singolo pezzo, i semilavorati o i prodotti finali?". Pensiamo per esempio a un’azienda che fornisce parti di tessuto ritagliati da un rotolo e ricavati da una o più rocche di filato. Si etichetta il singolo rotolo oppure i tagli o le rocche di partenza? Come già detto, non si può ancora stabilire a priori, è necessario uno studio caso per caso.
PMI.it: Riepilogando, dal suo punto di vista, come definirebbe la situazione attuale?
Luca Mari: Prima di tutto vedo molta attenzione. Vedo, a ragione, poche posizioni di diffidenza e molta attenzione per cercare di capire. Il punto è che le soluzioni RFId a parte alcuni settori restano una logica di supporto e non core. Quindi, molto giustamente, laddove si cerca di tagliare i costi, prima di affrontare nuove spese deve essere evidente la possibilità di avere un ritorno. E, ancora una volta, non esiste uno scenario unico.
PMI.it: E di fronte a queste prospettive di investimenti, come si comportano le aziende?
Luca Mari: Vedo in relazione a questa attenzione citata sopra, grande disponibilità a studiare la fattibilità, il passo successivo alla pura curiosità. Gli investimenti passano per logiche più complesse. Interpellarci per studi di fattibilità è ormai comune da parte di aziende di qualsiasi dimensione. Fare il passo successivo, passare all’implementazione, posso dire che se avessimo tanti esempi realizzati, ormai sarebbe storia e quindi non ci sarebbe neanche bisogno di parlarne.