La vostra PMI utilizza una rete Wi-Fi con più di 24 punti di accesso? Rischiate una multa da 15mila a 150mila euro, se non vi siete rivolti a un installatore patentato. E non è un rischio teorico visto che un’azienda siciliana è stata multata di 30mila euro.
Nei giorni in cui l’Italia sta faticando per darsi un’Agenda Digitale, dunque, pesano ancora retaggi di un passato (ancora troppo presente) in cui le norme in fatto di tecnologia si applicano a sorpresa, senza un disegno strategico ma frutto ora di una lobby ora di un’altra. E del tutto a prescindere da un progetto volto alla digitalizzazione di aziende, famiglie, PA, come invece vorrebbe l’Agenzia digitale.
=>Agenda Digitale Italiana: leggi a che punto siamo
Il caso ha riacceso una bagarre che va avanti dal 2011, tanto che Assoprovider ha chiesto al nuovo ministro allo Sviluppo economico di abolire il registro installatori e liberalizzare l’installazione di reti Wi-Fi, per evitare un danno duplice per molte aziende: per chi deve installare una rete Wi-Fi e per gli installatori che non rientrano nei parametri per l’iscrizione al registro (avere almeno due dipendenti).
Ce lo spiega con chiarezza Fulvio Sarzana, avvocato tra i massimi esperti di nuove tecnologie e che già nel 2011 si era battuto (come altri addetti ai lavori) contro questa norma.
«Il registro viene introdotto da un regolamento adottato dal Ministero dello Sviluppo Economico (Paolo Romani, all’epoca, Ndr) che traspone la direttiva 2008/63/CE relativa alla “concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni”». «Questa nasceva per tutelare e garantire l’accesso all’interfaccia di rete pubblica da parte dell’utente, quindi con la finalità di liberalizzare la commercializzazione degli apparati terminali d’utente connessi alla rete pubblica. In pratica si tendeva ad evitare che i gestori delle ex reti pubbliche potessero egemonizzare il mercato degli apparati terminali agli utenti».
«Il regolamento attuativo del decreto legislativo 198/2010, più volte rimaneggiato, di fatto istituisce un albo di installatori, per realizzare reti con oltre 24 punti di accesso, secondo l’ultima versione del regolamento (nella prima bozza il numero era addirittura dieci, Ndr.)».
Ergo, «serve pagare un’azienda iscritta al registro per fare cose che, secondo le associazioni dei provider è possibile fare senza competenze tecniche utilizzando, come ordinariamente avviene, prodotti commerciali di largo consumo e montabili da chiunque».
=>Ufficio senza fili: configuriamo un access point
«Il paradosso dunque è che una norma che recepisce un dettato legislativo comunitario diretto alla liberalizzazione viene usata per restringere il mercato». Già, l’Italia è riuscita in questo “miracolo” di ribaltare il senso di una norma comunitaria. L’Europa immaginava una tecnologia diffusa, semplificata; noi siamo andati in senso contrario, «creando un albo che, sembra proprio modellato su norme che sono state varate più di vent’anni fa, e con sanzioni fra l’altro che vanno dai 15 ai 150 mila euro», conclude Sarzana.
«Faccio appello al neo-ministro allo Sviluppo Economico, il mio conterraneo Flavio Zanonato, al suo senso di equità e giustizia per abrogare questa norma vessatoria nei confronti delle aziende”, attacca Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider, che sta lavorando per preparare un’interpellanza parlamentare allo scopo di abolire le sanzioni.
Ma già da luglio 2012 c’è un tentativo legislativo di abrogare il registro, con l’articolo 26 del disegno di legge 5610, su quale si attende ancora il passaggio in Parlamento.
Sarebbe auspicabile rimediare. E non solo per i vantaggi pratici, tutto sommato ridotti, per il settore e le aziende. Perché sarebbe il segnale che l’Italia è cambiata: e comincia a considerare la tecnologia come un asset strategico, su cui puntare con norme che semplificano l’uso dell’IT, abbattono barriere (tra server di Pa diverse, tra Pa e cittadini, tra cittadini e dati pubblici…). Amalgamare la tecnologia con la vita di cittadini e imprese, con la leva delle istituzioni. È questo in fondo il fine dell’Agenzia per l’Italia digitale, che attende da mesi di andare a regime, mancando ancora la formalizzazione di un Comitato di indirizzo. Anche qui la tenaglia della burocrazia continua a frenare lo sviluppo. Speriamo che sia solo, davvero, retaggio di un passato al tramonto.