A giorni uscirà il primo bando di gara per chiudere la guerra al digital divide nel 2014, ma già ci si chiede se questo risultato sia sufficiente. O non sia già superato dalle esigenze delle aziende e del mercato in generale.
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Certo, è un impresa “storica” per le infrastrutture italiane, quella in cui ci stiamo per imbarcare.
Dal Ministero per lo Sviluppo Economico sono previsti bandi di gara per un totale di 240 milioni di euro per portare la banda larga di almeno 2 Megabit (reali, non nominali, assicurano dal Ministero) a tutti i cittadini. Ora ne sono esclusi circa 2,8 milioni.
Visto che i bandi partono adesso, la chiusura del digital divide – considerati i tempi per i cantieri – è prevista per metà 2014. Gli addetti ai lavori apprezzano il modello di bando scelto: a incentivo (“clawback”).
L’operatore fa la rete con almeno il 30% di risorse proprie e il resto lo mette il pubblico.
C’è una fase preliminare in cui gli operatori devono dire al ministero in quali aree vogliono andare con propri piani commerciali e in quali hanno invece bisogno dell’aiuto pubblico. Solo in queste secondo viene fatto il bando.
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Se poi risulta che le stime di redditività da parte degli operatori erano sbagliate e quelle aree sono più profittevoli del previsto, devono restituire l’incentivo ricevuto.
Su questo percorso possono esserci alcuni imprevisti. Gli operatori non riescono a garantire effettivamente una qualità di banda sufficiente (per esempio se usano connettività wireless); oppure se non mantengono gli impegni presi con il ministero e quindi alla fine non coprono, con propri piani commerciali, le aree escluse dal bando.
Sono due imprevisti evitabili solo con un’attenta vigilanza da parte del ministero. Gli attuali dirigenti che ci lavorano si sono dimostrati attenti, al momento, ma in Italia siamo abituati a vedere stravolgimenti degli organici ministeriali a fronte di mutamenti politici; non ci sono insomma garanzie che tutto vada nel verso giusto. Ma a mio avviso i nodi più grossi riguardano due altre questioni, meno attinenti ai bandi e più di scenario.
La prima: non è chiaro quanto le aziende siano davvero favorite da questi obiettivi.
Penso soprattutto ai distretti industriali lontani dalle città, i quali storicamente hanno una copertura banda larga inferiore rispetto alle case. “Chiuderemo quasi tutto il digital divide aziendale con i bandi già fatti, con in quali la società di scopo Infratel ha posato fibra ottica poi affittata dagli operatori”, fanno sapere dal Ministero. “Ciò che rimane sarà colmato con questo nuovo bando, che a differenza dei precedenti vedrà gli operatori e non Infratel farà la rete”.
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Ma forse un’azienda ha bisogno di ben più di una garanzia minima da 2 Megabit. Sappiamo che la presenza della fibra di Infratel è comunque un incentivo anche agli operatori a portare – a costi più ragionevoli – connessioni di livello superiore (tipo Vdsl2), ma è una scommessa ancora da verificare.
Servirà piuttosto un impegno dell’Italia a sostenere le reti di nuova generazione ed è un tavolo tutto da affrontare.
Non solo: “ora che stiamo risolvendo il problema del digital divide di base, chiediamoci se non sia tempo ormai – e magari è già tardi – di chiedersi come incentivare i servizi su quelle reti”, dice Francesco Sacco, docente dell’università Bocconi e tra i massimi esperti di banda larga in Italia.
Significa incentivo all’eCommerce, formazione all’uso dell’IT in azienda (magari in veste cloud), “alfabetizzazione informatica” del business.
Tutti fronti che sono il tallone d’Achille della nostra Agenda digitale (nonostante le tante proposte di legge bipartisan in tal senso, negli ultimi mesi).
Come iniettare la cultura digitale nelle PMI? Annoso problema, ma ora è proprio ormai non più rimandabile.