Negli ultimi anni, la digitalizzazione è diventata una sfida fondamentale per le imprese italiane private, pubbliche, piccole, medie e grandi. La trasformazione digitale non solo apre nuove opportunità di crescita, ma diventa sempre più necessaria per rimanere competitivi in un mercato in continua evoluzione.
Per affrontare al meglio questa trasformazione alcuni elementi sono indispensabili, come una connettività affidabile e veloce e una corretta protezione dei dati sensibili, il tutto mantenendo i costi sostenibili per l’impresa.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Simone Bigotti, amministratore delegato di BBBell, azienda piemontese specializzata in servizi a banda ultra larga e telecomunicazioni wireless e fibra in Piemonte e Liguria, che si pone come partner chiave per le PMI e le PA nella loro evoluzione digitale, affrontando le questioni legate alla sicurezza, alla privacy e per la protezione dei dati e offrendo servizi di sicurezza informatica, certificazioni di conformità, infrastrutture di data center sicure e rispettose dell’ambiente.
Attraverso la sua esperienza e competenza nel fornire soluzioni di connettività e tecnologiche avanzate, BBBell ci offre un punto di vista privilegiato sul livello di digitalizzazione raggiunto dalle imprese in Italia, confermando uno scenario molto differenziato, con alcune aziende che si sono mosse rapidamente, adottando soluzioni avanzate, e altre ancora indietro nel processo.
La digitalizzazione parte dall’infrastrutturazione
Bigotti ha delineato il processo di digitalizzazione delle imprese come una scala, della quale i primi gradini sono l’infrastruttura. Un ambito in cui negli ultimi tempi c’è stata una crescente attenzione alla connettività: «perché oggi Internet è diventato un servizio ormai primario al pari della corrente elettrica», spiega Bigotti. «Per intenderci, la connessione Internet, come esigenza, ha superato oramai l’esigenza della telefonia fissa: una volta le imprese senza il telefono fisso non potevano stare neanche un’ora. Oggi non possono stare senza Internet», perché tutti i loro servizi digitali si basano e dipendono dall’accesso alla Rete. Quindi, l’infrastrutturazione è il primo passo cruciale.
E proprio questo è il “primo mestiere” di BBBell, che si occupa dal 2003 di fornire connessioni di banda ultralarga attraverso la propria rete radio proprietaria. «Noi nasciamo come operatori telecomunicazioni, quindi facciamo questo come core business: portare connettività e telefono a tutte le imprese e anche ai clienti privati. Da vent’anni.
Siamo nati portandola in zone dove non c’erano neanche le connessioni ADSL», ci racconta l’AD, spiegando come questo sia possibile utilizzando una tecnologia chiamata FWA (Fixed Wireless Access), che offre una connessione wireless – quindi radio – ma fissa, tramite un’antenna posizionata presso l’impresa cliente. «Questo per definire la tipologia di accesso, perché anche il cellulare è una tecnologia wireless, ovvero radio, ma è mobile, quindi è in mobilità».
In aggiunta, oggi, BBBell porta anche la connettività anche tramite fibra ottica, laddove tale tecnologia è disponibile.
Tecnologie Radio alternative alla fibra e anti-Digital Divide
Bigotti ci conferma che il Digital Divide è ancora un problema significativo in Italia, con disparità nell’accesso e nell’uso delle tecnologie digitali tra le diverse aree del Paese, in termini di disponibilità di connettività ultralarga. Questo principalmente a causa di un approccio sbagliato al problema, anche a livello governativo: il piano del Governo per la banda ultralarga, incluso il Piano Italia a 1 Giga è oggi in forte ritardo, «si parlava di terminarlo nel 2017, poi nel 2021. Adesso si parla del 2026. Il motivo? Semplicemente si parte da un assunto sbagliato», ovvero voler portare la fibra ottica a tutti ad ogni costo.
Nelle aree urbane la fibra ottica è generalmente la migliore opzione, ma la sua posa richiede tempo, ha un impatto ambientale significativo e comporta costi elevatissimi. Le tecnologie radio, come quelle utilizzate da BBBell, possono offrire connettività veloce in tempi più brevi senza dover ricorrere alla posa di fibra. Questo è particolarmente vantaggioso per le aziende che necessitano di una connessione veloce immediata e non possono attendere mesi per l’installazione della fibra ottica.
«Alle aziende oggi possiamo portare 1 Giga di banda simmetrica, quindi sia in download che in upload, su tecnologia radio senza nessun problema e, soprattutto, possiamo farlo in poco tempo. Si parla di 20-30 giorni per attivare un cliente. Se dovessimo scavare e posare la fibra, per quello stesso cliente ci metteremmo mesi, sempre di riuscire a farlo», considerando che tale processo spesso subisce ritardi notevoli a causa della burocrazia italiana.
Insomma, l’aspettativa rispetto a soluzioni come la fibra ottica si scontra con una realtà fatta di risorse finanziarie limitate e di infrastrutture spesso esistenti. Si pensi ad esempio alla tecnologia Fiber To The Cabinet (FTTC), in cui la fibra arriva sulla strada principale per poi essere portata negli immobili tramite cavo in rame: «quel cavo, dopo due o trecento metri, perde di capacità. Quindi, se noi vogliamo infrastrutturare e chiamarla fibra dobbiamo arrivare in casa di tutti con un cavo in fibra. Ma ci vogliono miliardi di euro per scavare tutta l’Italia quando, oggettivamente, con le tecnologie radio si raggiungono velocità quasi al pari della capacità della fibra», sottolinea Bigotti, e sicuramente superiori all’FTTC.
Nonostante l’idea diffusa che solo la fibra ottica possa garantire una connettività veloce, infatti, le tecnologie radio si sono evolute al punto da competere con la capacità della fibra. Ovviamente, ci spiega l’AD di BBBell, bisogna valutare il contesto: le tecnologie radio richiedono una visuale ottica tra l’unità trasmittente e quella ricevente, l’infrastruttura urbana densa potrebbe non essere adeguata per questa soluzione. Al contrario, le tecnologie radio offrono un vantaggio economico e possono essere utilizzate per raggiungere utenti in zone rurali o meno densamente popolate e aree industriali.
Dematerializzazione e protezione dati
Il passaggio alla digitalizzazione comporta anche la dematerializzazione delle infrastrutture e dei documenti aziendali. L’archiviazione cartacea delle fatture è diventata obsoleta e l’azienda si sta impegnando nella digitalizzazione di tutti i suoi archivi. Questa mole di dati richiede una gestione adeguata, in grado di garantire sicurezza e protezione. Il mondo digitale presenta dunque nuove sfide da affrontare, come la fragilità dei dati e la minaccia degli attacchi informatici.
Ecco perché BBBell si sta occupando di accompagnare le imprese in questa evoluzione digitale. «Fino a qualche anno fa facevamo ancora le fatture cartacee, archiviavamo le fatture in un faldone cartaceo. La fatturazione elettronica, la smaterializzazione di tutta questa documentazione si sta iniziando a fare adesso, quindi noi abbiamo archivi che fino a 1, 2, 3 anni fa sono ancora cartacei e stiamo digitalizzando tutto».
Con riferimento a questa mole di dati enorme, Bigotti evidenzia: «dobbiamo preoccuparci di dove viene inserita, come viene trattata, come viene archiviata, come ci garantiamo che il patrimonio digitale, quindi il patrimonio di informazioni che noi abbiamo, di un’impresa, di una Pubblica Amministrazione, non venga poi perso negli anni. Perché se viene perso rischiamo di avere il deserto digitale, il deserto delle informazioni».
Rispetto a quella cartacea, la conservazione digitale è completamente differente, ci spiega Bigotti: «quel dato è smaterializzato, è all’interno di una macchina che può essere soggetta a un errore. Un documento cartaceo per perderlo lo devo strappare, lo devo buttare via. Un click con un “cancel” sbagliato di un dipendente, invece, mi fa perdere un intero documento digitale. Nell’immaginario collettivo è passato il messaggio dove il digitale è sicuro perché è un dato che è lì, che è disponibile, in realtà se non viene conservato nel modo giusto, se non attiviamo tutte le procedure per avere dei backup, per proteggerci dai rischi, è molto più debole l’infrastruttura digitale rispetto a quella fisica e rischiamo davvero la perdita dei dati».
L’importanza di scegliere partner certificati
Ecco perché, per conservare e proteggere correttamente i dati digitali, si sta cercando di spingere il mondo delle imprese a dematerializzare l’infrastruttura di server e PC che hanno all’interno dell’impresa, nonché ad andare verso il mondo in cloud, così da avere i propri dati, la propria infrastruttura in server protetti, ovvero in «strutture con data center che abbiano tutte le certificazioni per poterci garantire che quel dato venga trattato nel modo corretto e non venga perso».
Affidando quindi le infrastrutture informatiche a fornitori di servizi cloud e data center certificati, che offrono un livello di sicurezza superiore rispetto alle infrastrutture interne delle imprese.
«Deve essere un soggetto certificato che mi dia le garanzie di sicurezza, deve avere tutte le certificazioni e noi diciamo un soggetto che sia compliant alle normative europee in termini di GDPR, di privacy, perché se noi mettiamo i nostri dati in mano a soggetti che sono extra UE, non abbiamo la garanzia che tratti i nostri dati secondo quelle garanzie che l’UE ha stabilito. Quindi sempre meglio appoggiarsi a cloud service provider e data center europei, o ancora meglio italiani conosciuti, perché comunque è il nostro patrimonio che dobbiamo proteggere», rimarca l’AD di BBBell.
Abbiamo chiesto a Simone Bigotti se queste tematiche legate ai rischi della digitalizzazione e il conseguente vantaggio di esternalizzare le infrastrutture informatiche siano chiari alle imprese: «No. Ad oggi poco, lo capiscono le imprese strutturate che hanno competenze IT all’interno, lo capiscono molto poco le PMI. La sfida sarà quella di accompagnare nella digitalizzazione la piccola media impresa italiana. La grande impresa è già abituata, sa già come fare, ha già attivato questo processo da anni. Sono tutte le piccole imprese, quelle che lavorano quotidianamente, che sono il nostro tessuto economico, che dobbiamo accompagnare in questo processo, spiegare loro le cose. Loro, dal loro canto, devono capire che l’informatizzazione e la digitalizzazione non devono più essere l’ultima voce di budget».
Questo perché se, da una parte, oggi dalle PMI il problema della connettività viene vissuta come un necessità cruciale e impellente, dall’altra manca ancora la consapevolezza che quella IT è un’infrastruttura che consente loro di garantire la continuità della vita d’impresa. Su questo aspetto, spiega Bigotti, non c’è ancora la cultura tra i piccoli imprenditori: «perché l’impresa italiana è abituata a concentrarsi sul proprio business e un po’ meno alla lungimiranza di cercare una soluzione tecnologica che le permetta poi di lavorare nel tempo».
Anche sulla parte cloud, ci racconta l’AD, «la fanno da padrone soggetti grandi hyperscaler, che sicuramente sono strutture importanti e che garantiscono anche una stabilità del dato, con servizi accattivanti e magari anche a prezzi convenienti. Però, attenzione: diamo in mano, come dicevo prima, il nostro patrimonio, il patrimonio della nostra impresa a soggetti che poi non sappiamo cosa fanno di questi dati. Tanto è vero che il dibattito pubblico è quello che i dati della pubblica amministrazione, per esempio, vengano inseriti solo in data center certificati che siano soggettati alle normative europee. Non voglio fare il nazionalista esagerato e parlare di italiano, ma quantomeno assoggettati alle normative europee».
La minaccia degli attacchi informatici
Un altro aspetto importante di cui parlare alle imprese riguarda la protezione dagli attacchi informatici, perché con l’aumento della digitalizzazione, le imprese sono diventate sempre più vulnerabili agli attacchi informatici. I cybercriminali cercano di sfruttare le vulnerabilità dei sistemi informatici per accedere a informazioni sensibili, rubare dati o causare danni alle infrastrutture aziendali. Pertanto, la protezione dei dati deve essere una priorità assoluta per le imprese italiane.
«Una volta sentivamo sempre parlare di grandi imprese che venivano attaccate. Oggi la piccola media impresa è presa sempre più di mira dagli attacchi informatici». Piccole imprese che non hanno o non possono permettersi «di avere tutti gli strumenti di protezione di una grande azienda, non hanno competenze interne, non riescono a fare formazione sui propri dipendenti che utilizzano gli strumenti informatici ed ecco qui che poi da una mail di phishing fatta molto bene, un dipendente fa click su quella mail e a quel punto vengono magari crittografati tutti i dati dell’impresa e se non si paga un riscatto non se ne rientra in possesso».
Ma «questo non deve spaventare l’impresa, il processo di digitalizzazione va fatto, bisogna farlo con coscienza, affidarsi a strutture qualificate» in grado di offrire tutta la protezione necessaria a infrastrutture e dati.
«Dopodiché c’è tutto il tema di che cosa ci faccio con questi sistemi, come accedo al mio lavoro, allora possiamo entrare nel mondo dell’unified communication, dove io posso essere raggiungibile col numero fisso anche dal cellulare, posso fare smart working, posso lavorare da ogni parte del mondo, posso fare le videoconferenze, anziché dovermi spostare per riunioni in continuo, ci sono poi tutte le parti di funzionalità, ma alla base ci deve essere un’infrastruttura protetta, orchestrata bene e gestita da un soggetto che sappia farlo. Ecco perché noi ci stiamo trasformando da operatore di telecomunicazioni in operatore di servizi, diventiamo un managed service provider», ci rivela Bigotti.
Abbiamo chiesto all’AD come BBBell affronta le questioni legate alla sicurezza digitale, sia in termini di cybersecurity che in termini di gestione della privacy e quali misure vengono adottate per garantire la protezione dei dati sensibili dei clienti: «noi abbiamo sempre investito tanto nelle certificazioni», ci spiega, per garantire la qualità del trattamento dei dati e offrire un servizio conforme alle normative nazionali ed europee.
Attualmente, BBBell è certificata ISO 9001, possiede certificazioni in materia di Salute e Sicurezza (ISO 45001), Qualità dei processi sulla sicurezza dei dati (ISO 27001: 2013 con estensione ISO 27017 e ISO 27018) e ha recentemente ottenuto la certificazione del proprio Sistema di Gestione Ambientale ai sensi della normativa ISO 14001:2015, andando così a realizzare un Sistema di Gestione Integrato a tutti gli effetti. «Siamo compliant con l’ACN che è l’Agenzia per la Cybersecurezza Nazionale», una certificazione recente, non ancora molto diffusa. «Sono investimenti importanti che ogni anno portano via risorse all’azienda, ma in cui noi crediamo molto», perché questi investimenti permettono all’azienda di presentarsi come un partner affidabile per le imprese che desiderano proteggere i propri dati.
Per quanto riguarda la protezione dai rischi informatici, BBBell offre servizi di sicurezza informatica come la protezione da virus, spam, phishing e ransomware. Inoltre, l’azienda sta implementando misure di protezione avanzate per difendere i propri clienti dagli attacchi DDoS (Distributed Denial of Service), che rappresentano una minaccia crescente per le imprese. In BBBell si impegna a mitigare gli attacchi DDoS e garantire la continuità operativa dei clienti durante tali attacchi: «ci stiamo infrastrutturando e cominciamo a garantire ai nostri clienti che vogliono una protezione da questo tipo di attacchi, che puliamo questo traffico, quindi nel momento in cui subisce un attacco di DOS siamo noi a mitigarlo, a purirlo e quindi a garantire la continuità operativa».
Dal punto di vista della privacy, BBBell non eroga servizi specifici di privacy, ma è un conservatore certificato che può archiviare e conservare i dati delle aziende in conformità con le normative sulla conservazione sostitutiva.
Da operatore TLC a managed service provider
Per quanto riguarda l’infrastruttura dei data center, BBBell si sta trasformando da operatore di telecomunicazioni a operatore di servizi, diventando un managed service provider. L’azienda offre servizi di connettività e può mettere a disposizione dei clienti l’infrastruttura dei data center, consentendo loro di spostare i propri server e servizi nei data center sicuri di BBBell. Ciò offre vantaggi come una connettività più veloce e affidabile e una maggiore sicurezza perché «se io gli strumenti ce li ho in data center, lì la quantità di banda disponibile è enorme». In pratica «creo un tubo di collegamento diretto, senza neanche passare dal mondo internet. Posso essere chiuso, fuori dal mondo internet per quella parte lì e, quindi, aumento la sicurezza e riesco a prevenire maggiormente gli attacchi».
L’azienda sta peraltro realizzando a Torino un nuovo Data Center di ultimissima generazione, che ha ottenuto la certificazione Tier 4. Un traguardo importante perché, come ci spiega Bigotti, per quanto riguarda i data center, possiamo parlare di due livelli di certificazione: «uno è quello di cui abbiamo parlato finora, con le certificazioni sulla capacità di non perdere per dati e proteggere privacy e quant’altro. Poi c’è una parte che invece è un po’ più fisica, strutturale, la resilienza del data center, quindi la capacità di stare online, di stare acceso anche in condizioni limite. Noi abbiamo ottenuto la certificazione Tier 4». Ciò significa garantire una resilienza del 99,995%, con sistemi ridondanti per l’alimentazione elettrica, il raffreddamento, la prevenzione degli incendi e altri aspetti critici. Questa certificazione assicura che il data center sia in grado di rimanere online e operativo anche in condizioni estreme, garantendo la continuità operativa per le aziende che vi si affidano.
«Noi abbiamo deciso di fare questo perché siamo convinti che sarà il futuro, ci sarà sempre maggiore attenzione anche alla resilienza fisica del data center», soprattutto da parte di imprese che erogano servizi verso terzi e che non possono permettersi di stare fermi, dovendo garantire ai propri clienti continuità operativa. «Pensiamo a un istituto di vigilanza che controlli le telecamere di tutti i suoi clienti: non può non avere un’operatività continua».
L’attenzione all’ambiente
BBBell riconosce inoltre l’importanza dell’impatto ambientale, garantendo ai propri clienti infrastrutture di data center sicure e rispettose dell’ambiente, come conferma la già citata certificazione ISO 14001: «il tema dell’impatto ambientale è importante, noi abbiamo preso la certificazione 14001 perché vogliamo dare un segnale importante di attenzione all’ambiente».
Spesso, spiega Bigotti, viene «sottovalutato quanto dispendio energetico ci sia per mantenere accesi i pochi server che tutte le imprese italiane hanno all’interno della propria infrastruttura: c’è un dispendio energetico enorme», doppio, «perché consumo energia per tenere il server acceso, che produce calore e io consumo altrettanta energia per raffrescare quel calore».
L’AD dell’azienda ci spiega come lo stesso trasferimento verso il cloud computing consenta di ottenere un maggiore risparmio energetico rispetto alle infrastrutture interne delle aziende, in quanto i data center possono implementare misure di risparmio energetico e di raffreddamento più efficienti rispetto ai singoli server nelle sedi aziendali.
«Noi abbiamo deciso di prestare maggior attenzione ulteriore a questo aspetto e quindi il data center che andiamo a costruire avrà per esempio il sistema del free cooling, cioè noi andremo a utilizzare nei mesi più freddi l’aria esterna per raffrescare il data center», senza ricorrere ai classici condizionatori. «Questo sistema consente di miscelare l’aria esterna con quella interna e quindi di andare a utilizzare l’aria fredda esterna per raffrescare. Utilizzeremo il sistema del corridoio freddo caldo, cioè i server hanno una parte frontale e una parte retro che scalda, è quella retro che scalda. Tipicamente venivano messi in questi grandi armadi in una stanza comune, tutte stanze, e si raffresca tutto l’ambiente. Noi invece andremo a creare dei corridoi stagni dove si raffresca solo il fronte, si raffresca solo la macchina e tutta l’aria calda viene invece buttata nei corridoi caldi e poi dissipata in ambiente esterno e quindi anche lì non andiamo a consumare ulteriore energia per raffrescare cose inutili».
Accorgimenti che fanno bene all’ambiente e al contempo garantiscono al cliente minor costo per la spesa energetica, «perché poi la spesa energetica del data center si è ribalta sul cliente, maggiore è la capacità di ottimizzare il consumo energetico di un data center, minore è poi la spesa per il cliente», sottolinea l’AD.
«Stiamo inoltre facendo le pratiche per attivare un campo fotovoltaico recuperando un’ex cava», per garantire al data center energia pulita, senza andare a consumare suolo buono per l’agricoltura, anzi recuperando un terreno che altrimenti sarebbe rimasto inutilizzato. Un ulteriore passo nel rispetto dell’ambiente e del cliente, al quale viene garantita una stabilità del costo energetico, oggi più che mai un tema di importanza vitale, con i costi energetici dei data center, e non solo, che sono quadruplicati in un solo anno.