Che cos’è una blochckain? Si tratta di un sistema di macchine in grado di validare, dividendo il peso del calcolo, una serie di transazioni. Quali che esse siano.
Per dirla in termini più tecnici, la logica della blockchain – ce ne possono essere di totalmente decentralizzate o di più controllate, come quella che lancerà Facebook con la criptovaluta Libra – è un database distribuito peer-to-peer in cui chiunque, ma dipende appunto dal grado di decentralizzazione, può trasformarsi in nodo della rete.
Ponendosi come controllore e garanzia delle transazioni che vi saranno effettuate e poi registrate. Per capirci, una specie di notaio diffuso e difficilmente influenzabile. Rapido, gratuito – se non consideriamo il costo che si accolla chi fa parte della rete – e indipendente.
La conseguenza naturale di un ambito così distribuito è che non occorre un ente terzo di supervisione. Non c’è Consob o Banca centrale che tenga, perché non serve.
Ed è la ragione per cui le autorità politiche e finanziarie internazionali, pur con numerose eccezioni, non vedono di buon occhio questo sistema alla base del bitcoin, di cui è un po’ il “libro mastro”, e di molte altre criptovalute ma sfruttato ai quattro angoli del mondo con gli obiettivi più diversi. Vedi in merito le ultime dichiarazioni di Donald Trump proprio su Libra.
Ci sono aziende che lo usano per tracciare la propria supply chain; in Finlandia una startup, Moni, ci gestisce una carta-conto e un’identità digitale per l’inclusione sociale dei migranti; altri Paesi che hanno addirittura provato a regolarci una parte delle elezioni. E così via.
A ben vedere, la blockchain può essere un modello applicabile a qualsiasi operazione che abbia necessità di un controllo distribuito e che si voglia mantenere il più possibile autonomo.
Già due anni fa il Parlamento Europeo aveva pensato addirittura di utilizzare la blockchain per capire come migliorare l’identificazione dei rifugiati. Più in generale, aveva messo sul piatto oltre 80 milioni di euro per progetti legati alla tecnologia e altri 300 sono sul piatto entro il 2020. Nel febbraio 2018 aveva invece lanciato il Blockchain Observatory and Forum.
Insomma, blockchain è un’architettura diffusa che può essere molto utile anche per le piccole e medie imprese, il 92% di quelle attive nel Paese ma spesso a basso tasso di digitalizzazione. Per questo occorre procedere con attenzione.
L’Italia, grazie ai fondi del Ministero dello Sviluppo economico, finanzierà uno studio che sarà condotto dal Centre for Entrepreneurship, SMEs, Regions and Cities dell’Ocse. A cosa servirà? Semplice: evidenziare le implicazioni di questa tecnologia sulle startup e appunto le PMI. Punti di forza, rischi, costi, settori più adeguati all’implementazione, risparmi e così via. Un progetto che arriva nel contesto della presidenza Italiana 2019-2020 della European Blockchain Partnership.
Sulla blockchain, e non solo, la componente pentastellata del governo punta molto. Come ha spiegato Marco Bellezza, consigliere giuridico del ministro Luigi Di Maio per le comunicazioni e l’innovazione digitale:
L’Italia è il primo Paese europeo a condurre questo tipo di studio.
La blockchain e le tecnologie emergenti possono innescare nuovi percorsi di sviluppo per Startup e PMI: iniziative come lo studio Ocse possono contribuire a verificare l’impatto delle misure pubbliche.
Il vicepremier ne parla da tempo di blockchain. Già lo scorso settembre, poco meno di un anno fa, proprio al momento della Blockchain Partnership, aveva detto:
Lo scopo principale della collaborazione tra gli Stati membri è lo scambio di esperienze e competenze in campo tecnico e normativo, per promuovere la fiducia degli utenti e la protezione dei dati personali, aiutare a creare nuove opportunità di business e stabilire nuove aree di leadership dell’Ue a beneficio dei cittadini, dei servizi pubblici e delle aziende”.
Curiosamente, su un punto che interessa non poche PMI italiane legate al cibo, Di Maio ci è tornato appena due giorni fa, in ottica anti italian sounding, cioè i 100 miliardi di falso made in Italy rispetto ai 40 miliardi di verso commercio di prodotti tipici venduti nel mondo:
il contrasto all’Italian sounding e il contrasto alla contraffazione passa attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie come la blockchain, capace di garantire la tracciabilità del prodotto – ha spiegato alla presentazione del 33esimo Rapporto ICE e dell’Annuario ISTAT ICE – in tal modo, ogni consumatore sugli scaffali di tutto il mondo potrà, con il proprio smartphone, avere la garanzia che quel prodotto è tracciato e sapere se viene o meno dall’Italia.
Uno dei molti modi concreti in cui la blockchain potrà farsi sentire nella vita di tutti i giorni. E nei conti delle imprese italiane.