Le applicazioni RFId nella Sanità pubblica

di Andrea Spiezia

18 Aprile 2008 09:00

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Le applicazioni RFId non hanno avuto molto spazio all'interno delle strutture sanitarie. Si stanno diffondendo, infatti, soltanto di recente

Per accedere alle informazioni contenute nell’etichetta radio è necessario un lettore, che nel caso di RFId passivi ha il compito anche di alimentare l’etichetta. Il vantaggio offerto da questo tipo di tecnologia rispetto ai sistemi di identificazione più utilizzati come i codici a barre, è che il lettore non ha bisogno di avere la visibilità ottica rispetto all’etichetta. Vi è anche un altro notevole vantaggio rispetto ai metodi di identificazione tradizionali. Attualmente è possibile inserire all’interno del tag delle memorie non volatili di qualche kilobyte, che possono contenere un certo numero di informazioni. Inoltre, è possibile realizzare RFID che non si limitano a trasmettere informazioni, ma consentono anche di riceverne e aggiornare i propri dati. In questo caso, l’etichetta radio diventa un sistema di identificazione che può tenere traccia della storia di un prodotto durante tutta la sua vita.

Casi di studio

In numerose strutture sanitarie si sta sperimentando questa tecnologia. In particolare presso l’Ospedale Luigi Sacco di Milano si sta portando avanti la sperimentazione per quanto riguarda le cure domiciliari a malati terminali, prestate in genere da strutture di volontariato non direttamente riconducibili all’ospedale. È importante, in questo caso, controllare la correttezza della loro erogazione e l’identità delle persone che operano. Ciò si realizza grazie a un tag Rfid posizionato sulla cartella clinica di cui ogni paziente è dotato. Sempre in questo ospedale è stata utilizzata la tecnologia Rfid per il controllo della manutenzione delle apparecchiature elettromedicali mentre è allo studio l’utilizzo dei tag per la tracciabilità del processo delle trasfusioni e per la gestione degli accessi nei laboratori.

Il progetto sviluppato presso il Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale dell’Ospedale San Raffaele di Milano è mirato invece alla riduzione del rischio clinico legato al processo di autotrasfusione. Il progetto prevede una fase iniziale di sperimentazione sui processi di autotrasfusione per identificare il sangue prelevato ai pazienti prima degli interventi chirurgici e destinato ad essere trasfuso ai pazienti stessi in caso di necessità nel corso dell’operazione o nel periodo post operatorio. Al fine di correlare le sacche di sangue ai rispettivi pazienti, prima del prelievo viene applicato al polso del paziente un transponder Radio Frequency, che contiene i suoi dati identificativi personali crittografati con sistema di crittografia assimmetrica e una sua foto, e, dopo il prelievo, vengono applicate delle etichette identificative (Tag) alle sacche di sangue.