Lo Smart Working in Italia cresce lentamente ma in maniera costante: facendo riferimento al lavoro subordinato, a godere di flessibilità in termini di sede, orario e strumenti utilizzati sono 250mila, il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano.
Il lavoratore “smart” tipo è un uomo (69%) di età media 41 anni, che risiede al Nord (52%, solo nel 38% nel Centro e 10% al Sud) e rileva benefici nello sviluppo professionale, nelle prestazioni lavorative e nel work-life balance rispetto ai lavoratori che operano secondo modalità tradizionali.
Il 30% delle grandi imprese nel 2016 ha realizzato progetti strutturati di Smart Working, (+17% annuo) a cui si aggiunge un 11% che dichiara di lavorare secondo modalità “agili” pur senza un progetto sistematico. Nella maggior parte (40%) il progetto è in fase di crescita, nel 25% viene considerato a regime e nel 35% c’è una sperimentazione limitata.
Una situazione ben diversa si riscontra invece per le PMI, tra cui la diffusione di progetti strutturati è ferma al 5% con un altro 13% che opera in modalità Smart in assenza di progetti strutturati. Uno scarso interesse dovuto alla limitata convinzione del management e alla mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili. Eppure l’analisi dell’Osservatorio Smart Working ha rivelato come siano falsi i timori tipici legati all’applicazione del lavoro agile.
I servizi di social collaboration, mobilità, accessibilità e sicurezza e le workspace technology sono le tecnologie digitali che abilitano lo Smart Working, supportando il lavoro in mobilità e rendendo possibile la comunicazione, la collaborazione e la condivisione di conoscenza a prescindere dalla presenza fisica in un determinato luogo di lavoro.