E-readiness: luci e ombre dell’ICT italiano

di Riccardo Simone

Pubblicato 8 Maggio 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:56

logo PMI+ logo PMI+

Siamo il Paese con il patrimonio culturale più vasto. Rientriamo tra gli otto Paesi più industrializzati del mondo. Eppure siamo solamente al venticinquesimo posto per e-readiness, cioè per capacità  di accogliere e sfruttare le innovazioni ICT. Ed è magra consolazione sapere che dietro di noi c'è la Spagna, mentre poco sopra di noi la Francia.

I dati li illustra Pmi.it sulla base della ricerca effettuata dall'Economist Intelligence Unit del gruppo Economist, in collaborazione con l’Institute for Business Value di IBM.

Come sempre i dati di un indice sintetico vanno presi con la dovuta cautela: sapere che la readiness dell'Italia è 7,55 su 10 è di per sé un dato nudo e crudo. Molto più interessanti invece sono le considerazioni che possono scaturire dall'analisi dei vari parametri che l'indagine prende in esame.

In particolare il vero “tallone d'Achille” sembra essere il cosiddetto “business environment”, costituito da quei fattori che permettono lo sviluppo dell'imprenditorialità : solidità  macroeconomica e politica, agevolazioni fiscali, ridotte barriere all'ingresso, mercato del lavoro efficiente e apertura agli investimenti.

Oltre al business environment, l'altro aspetto su cui il nostro Paese risulta carente è la dotazione di infrastrutture tecnologiche, che costituisce l'ostacolo principale all'utilizzo diffuso di Internet. Questo dato è confermato anche dall'Assinform che sottolinea come in questi ultimi anni ci sia stato un crollo degli investimenti italiani in infrastrutture di telecomunicazione (-4,7% nel 2007 rispetto all'anno precedente), a fronte invece di una crescita mondiale del settore. Insomma, anche l'IT lamenta i medesimi problemi strutturali di altri settori produttivi, cioè la mancanza di infrastrutture associata alla staticità  imprenditoriale.

Tuttavia dal lato della domanda provengono segnali decisamente più positivi: infatti nella ricerca dell'Economist, l'Italia ottiene un buon punteggio alla voce “fattori socio-culturali”, che sono indice della predisposizione dei consumatori ad accogliere le innovazioni e a sfruttarle. Questo dato viene rafforzato da quello riguardante la spesa delle famiglie italiane in IT, che è raddoppiata negli ultimi tre anni.

Dunque il nostro Paese si configura come un mercato dalle grandi potenzialità  per le imprese che decidono di investire in IT, a diversi livelli. Infatti per le infrastrutture servono grandi capitali, ma anche i ritorni possono essere notevoli: in quest'ottica, la diffusione del WiMax rappresenta un valido e interessante banco di prova. D'altra parte anche operatori medio-piccoli che offrono servizi alle imprese possono trarre vantaggi da un maggiore orientamento del proprio business verso l'IT.

Le stesse PMI, se agevolate, possono cercare di colmare il digital divide con gli altri Paesi europei maggiormente industrializzati. Ma, come sottolinea Assinform, anche la Pubblica Amministrazione ha un ruolo determinante in quanto rappresenta il 15% del mercato IT e può fungere da volano per una spinta espansiva.