Come i più appassionati sanno, la biometria è uno strumento che negli anni riceve approvazioni sempre maggiori e pareri sempre più positivi. Anche se con estrema lentezza i dispositivi biometrici entrano a far parte della vita quotidiana di ogni individuo, sia esso esperto di informatica o meno.
Ad esempio, in molti paesi Europei (tra cui anche l’Italia) le informazioni biometriche della nostra persona andranno a finire verosimilmente nel nostro passaporto. In questo modo viaggiare tra tutte le nazioni sarà semplice e i tempi dei controlli di riconoscimento verranno ridotti drasticamente e resi più sicuri.
Ogni paese è libero di scegliere la quantità di dati biometrici da inserire nel documento, anche se quelli suggeriti dalla comunità di ricerca sono l’immagine, le informazioni circa le impronte digitali e quelle che riguardano l’iride.
I documenti, inoltre, saranno dotati di un dispositivo RFID (Radio Frequency IDentification) che potrà rendere automatico il riconoscimento da parte di opportuni lettori RFID. In pratica il documento è dotato di un piccolo chip in grado di comunicare ad un dispositivo ricevente le informazioni in esso presenti. A questo punto il sistema di controllo verifiche se le informazioni scambiate sono coerenti o meno con quelle dichiarate all’atto di sottoscrizione del documento ed in questo modo identifica o meno il passeggero.
Tutto questo sarebbe stupefacente se i controlli e gli esperimenti su questa nuova generazione di documenti fossero completi ed esaustivi.
Quello che fa rallentare i tempi di diffusione, oltre alla lentezza delle procedure legislative, sono alcuni grossolani errori come quello accaduto in Belgio e reso pubblico recentemente.
Praticamente nei passaporti distribuiti tra il 2004 e il 2006 non era presente alcun tipo di protezione ai dati personali, per cui, qualsiasi persona dotata di apposito ricevitore, era in grado di leggere le informazioni personali dei documenti, anche se tenuti nella giacca o nella borsa.
Chiaramente questo non è tollerabile, nessuno vorrebbe diffondere in tal modo informazioni circa la propria identità, lo schema delle impronte digitali, ecc.
Le tecnologie quindi ci sono e la previsione è che, con la dovuta attenzione e pazienza, nel giro di pochi anni in tutta Europa potremo utilizzare questo nuovo e sicuro documento.