Identificarsi attraverso lo Spid, l’identità digitale unica. Pagare un servizio attraverso PagoPa. Consultare il proprio Fascicolo sanitario elettronico, accedere all’anagrafe unica nazionale, ricevere eventuali rimborsi diretti. In pratica smaterializzare (bollettini, prescrizioni mediche, certificati, iscrizioni scolastiche, patente, pratiche anagrafiche). Ma anche informare (allerte meteo e avvisi di altro tipo). Tutto questo in un’unica applicazione, hub che mette in relazione i cittadini con l’amministrazione in tutte le sue articolazioni. Si chiama IO, la sta sviluppando il Team per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio, in collaborazione con AgID, l’Agenzia per l’Italia Digitale e in estate inizierà la sperimentazione.
Diciamolo subito: speriamo non sia un’eredità senza futuro. Speriamo, cioè, che chi approda a palazzo Chigi – alla fine del tortuoso percorso che il Paese ha imboccato – non dimentichi uno dei temi fondamentali, perché propedeutico a efficienza, trasparenza, lotta alla corruzione, qualità nei servizi erogati ai cittadini, gestione degli affari e dei rapporti con le imprese: la digitalizzazione dell’elefante burocratico italiano, un arcipelago di norme e cavilli ma soprattutto di carta e regole (spesso campate in aria) che merita di essere ipersemplificato.
La strada maestra, quella che il Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale, Diego Piacentini, sta percorrendo ormai dal 2016, quando fu nominato da Matteo Renzi che lo pescò niente meno che da Amazon. Dove era (anzi, è, visto che è in aspettativa) vicepresidente dopo una carriera brillantissima che aveva incrociato, e a lungo, la strada di Steve Jobs in Apple. L’esperienza di Piacentini – che si è circondato di un piccolo ma agguerrito gruppo di esperti di assoluto livello fra sviluppatori, project manager, data scientist, ux product designer, softwar architect, ingegneri per il machine learning, esperti di cybersicurezza – andrebbe rafforzata.
Anzi, moltiplicata. Perché se l’Italia vuole ripartire anche sotto il profilo delle PMI ha bisogno di una PA più snella, veloce, semplice da capire, con la quale trattare non sia un’impresa titanica o una passione senza fine.
Il costo della burocrazia fiscale, secondo Cna, è di circa 2 euro l’ora: una montagna di risorse sottratte alle società, 22 miliardi annui, circa 5mila euro l’anno a impresa. Certo non tutto dipende dal cosiddetto digital divide ma è pur vero che solo un’impresa su tre sbriga abitualmente online le pratica con la PA. Se quasi tutti usano i siti della pubblica amministrazione, l’83,7% non trova le informazioni se non dopo lunga battaglia e il 62,2% ritiene insufficiente il livello di digitalizzazione del settore. Insomma, aggredire quel lato è una chiave di cambiamento per l’intero settore.
Il problema è che i coraggiosi del Team digitale, in un Paese come il nostro, rischiano di somigliare a tanti Don Chisciotte e Sancho Panza:
Non basta un team di 30 persone per trasformare la PA e fare l’Italia digitale – ha spiegato Piacentini al ForumPA – stiamo muovendo una montagna di pochi centimetri. Il mio suggerimento al nuovo governo? Replicare team simili al nostro nei ministeri e in alcuni enti.
Sembra dunque che stia imboccando la strada del commiato e in fondo proprio a settembre 2016 aveva spiegato che il suo lavoro pro bono, senza cioè intascare un centesimo, sarebbe durato un paio di anni. Il prossimo autunno c’è dunque da aspettarsi l’addio e il nuovo esecutivo dovrà indicare una personalità di altrettanto spessore (non sarà semplice individuarla) che prenda le redini di quel gruppo – anch’esso in scadenza il 15 settembre, ne andrà rinnovato il mandato – e spinga per estenderne l’esperienza in ogni periferia dello Stato.
In questo momento il nostro modello è difficilmente replicabile – ha aggiunto Piacentini – quello che abbiamo creato è un’eccezione all’interno della PA. L’obiettivo principale di un governo che vuole aiutare la PA a trasformarsi anche tramite la digitalizzazione è ampliare il modello che abbiamo messo in piedi”, ha spiegato il Commissario.E’ necessario creare le condizioni, anche regolatorie, che permettano di attrarre persone dall’esterno.
Servono risorse umane ed economiche, la digitalizzazione del pubblico non si fa con le chiacchiere. E neanche con i “programmi di cambiamento” dove, per giunta, al tema non viene riservata neanche una sezione dedicata ma il tema del digitale viene sparpagliato qui e là, sovrapponendo per giunta cybersicurezza e cyberbullismo.
Il messaggio che Piacentini lascia in eredità è questo: la macchina burocratica italiana non è in grado di riformarsi da sola, dall’interno: “Servono momenti di shock e sperare che si vada nella direzione giusta” ha detto. La ricetta nel concreto: le skill di project management.
Sono poche le amministrazioni e le persone che hanno persino una minima capacità di gestione dei progetti con un workflow, momenti di controllo, verifica e correzione – ha chiuso – ma bisogna eliminare situazioni che disincentivano le persone a lavorare nella Pa perché lo sbaglio fa rima con punizione. In Italia ci sono manager ed esperti disposti a lavorare nella Pa per due tre anni se si creano le condizioni giuste.
Tanti auguri, Piacentini. E grazie per il volontariato a questo malandato Paese.