Il Consiglio Superiore della Magistratura, al fine di individuare degli standard moderni di rilevamento del rendimento dei magistrati che consentano di addivenire ad una amministrazione giudiziaria più efficiente, ha condotto con il contributo dell’Ufficio Statistica del Ministero della Giustizia una ricerca sull’attività di un campione di 575 magistrati nel periodo marzo – giugno 2011.
Lo studio, che è stato presentato a Palazzo dei Marescialli il 19 luglio 2011, presenta alcuni dati che smentiscono clamorosamente i soliti luoghi comuni rivolti ai dipendenti dello Stato.
La composizione esatta del campione è formata, per quanto attiene all’ambito penale, da 337 Pubblici Ministeri con 1100 casi all’anno e 72 magistrati giudicanti con 214 casi annuali. Per il settore civile sono stati invece “osservati” 100 magistrati. A questi sono stati aggiunti 15 magistrati impegnati come giudici di sorveglianza e 51 nel settore lavoro.
Per effettuare una valutazione del rendimento dei magistrati occorre considerare la correlazione con la durata dei procedimenti.
Come ha rilevato Giovanna Di Rosa, presidente della quarta commissione consiliare che ha condotto le indagini, dai dati statistici emerge che ben il 30% dei magistrati lavora più del dovuto.
Un dato che, secondo il Vice Presidente del CSM Vietti, «sfata il luogo comune secondo cui il magistrati italiani non lavorano. Purtroppo spesso lo fanno in condizioni particolarmente difficili dovute alla disorganizzazione degli uffici, a sua volta frutto della cattiva distribuzione sul territorio».
Il procedimento della ricerca per l’individuazione degli standard di produttività è quello del clustering, ossia «sulla base di gruppi omogenei di magistrati (giudici e pm) per tipologia di uffici, materia trattata e carico di lavoro, nonché della successiva individuazione di produttività media per ogni gruppo omogeneo riscontrato in modo tale da avere plurimi standard di laboriosità».