Borsellino, il ricordo 19 anni dopo

di Barbara Weisz

19 Luglio 2011 16:10

logo PMI+ logo PMI+
La ricerca della verità è stata la richiesta più pressante di istituzioni e parenti delle vittime nel 19esimo anniversario della strage di via d'Amelio, in cui persero la vita il giudice Borsellino e cinque uomini della scorta.

Il ministro Maroni ha deposto una corona di fiori negli uffici del reparto scorte della caserma Lungaro, ha quindi incontrato in forma privata i familiari delle vittime, e ha poi partecipato a un vertice sulla sicurezza in prefettura, insieme al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, al procuratore di Palermo Francesco Messineo, al presidente della Corte d’appello, Vincenzo Oliveri, al procuratore generale Luigi Croce, al presidente del tribunale Leonardo Guarnotta, al prefetto Umberto Postiglione, al questore Nicola Zito, al comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli, ai vice capo della polizia Nicola Izzo e Francesco Cirillo, ai vertici provinciali e regionali dei carabinieri e della guardia di finanza.

Borsellino fu ucciso da una scarica di tritolo posizionata in una Fiat 126 che lo attendeva in via d’Amelio, sotto casa della madre che stava andando a trovare. Nei giorni scorsi la verità è stata chiesta a gran voce dal fratello, Salvatore, e dal figlio, Manfredi: «è venuto il momento di sapere chi e perchè ha organizzato il depistaggio» ha dichiarato Manfredi.

L’ultima inchiesta sull’attentato, quella in corso a Caltanissetta, sta gettando nuova luce sulla trattativa fra Stato e mafia che Falcone e Borsellino avrebbero scoperto nel ’92 e a causa della quale furono velocemente uccisi.

Secondo quanto trapela, il procuratore Sergio Lari si appresta a chiedere la riapertura del processo, sulla base di elemenati che dimostrerebbero un depistaggio che avrebbe pilotato le accuse di Vincenzo Scarantino. Ombre pesanti sul pool di investigatori guidati da Arnaldo La Barbera (morto nel 2002), che avrebbero fortemente contribuito a costruire una falsa verità. A smentire Scarantino ci sono due pentiti, Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, fedelissimi di Giuseppe Graviano, il boss che accusano di essere responsabile della strage.