Futuro@lfemminile, intervista a Roberta Cocco

di Noemi Ricci

1 Giugno 2011 09:30

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L'intervista di PubblicaAmministrazione.net a Roberta Cocco, responsabile del progetto futuro@lfemminile volto a promuovere la tecnologia al servizio delle donne.

2.     Quali differenze a livello territoriale in Italia e quali le eccellenze e quali i fanalini di coda? Quanto pesa la cultura italiana in questo difficile percorso per equiparare il ruolo femminile in ambito lavorativo?

Tra le Regioni Italiane l’Emilia Romagna conta il tasso maggiore di occupazione femminile, con il 60% di donne al lavoro, mentre lo svantaggio è più accentuato al Sud, dove il tasso di occupazione è pari al 21,9% rispetto alla media del 47,2% al Nord. Sul versante culturale è riconosciuto che le giovani donne, pur attestandosi su un tasso di scolarità simile a quello dei ragazzi, portano a termine l’impegno scolastico con maggiori risultati, dimostrando quindi una costanza e una determinazione nel conseguire titoli di studio superiori. A parità di formazione, comunque, il rapporto Almalaurea 2011 ha messo in evidenza quanto ancora le donne più istruite siano penalizzate nel mondo del lavoro: gli impiegati a un anno dalla laurea sono per il 59% uomini e per il 53% donne e con il tempo questo distacco tende ad accentuarsi, anche in termini retributivi. Eppure le donne sono più empatiche, hanno capacità organizzative e precisione, qualità che possono soltanto portare benefici a tutti i livelli aziendali! Il progetto futuro@lfemminile, nato  ormai sette anni fa da un’idea delle donne di Microsoft, attraverso numerose attività intende contribuire all’eliminazione della disparità di genere in ambito lavorativo, dando l’opportunità a migliaia di donne di avvicinarsi alla tecnologia per farne uno strumento essenziale per il miglioramento della vita privata e professionale.

3.     Tra i punti di miglioramento evidenti, anche solo ascoltando le notizie diffuse dai mass-media, si individuano lo stipendio tra uomo e donna e soprattutto la difficoltà per questa seconda categoria di ricoprire ruoli apicali all’interno di un’azienda. Ci sono segnali positivi in tal senso e qual è la direzione da intraprendere per tentare di rendere il livello retributivo e il profilo professionale paragonabile tra i due sessi? La Pubblica Amministrazione favorisce maggiormente la figura della donne nei ruoli dirigenziali, oppure è allineata all’esperienza delle imprese?

Il divario di retribuzione tra donne e uomini è uno dei numerosi aspetti sui quali bisogna intervenire per cercare di livellare le disparità di genere in ambito lavorativo. Una ricerca condotta dall’Eurostat a livello europeo ha messo in luce il cosiddetto gender pay gap: considerando il reddito lordo annuo, le donne percepiscono tra il 50% e il 70% di ciò che guadagnano gli uomini, ciò dimostra che in senso assoluto l’occupazione non viene valutata equamente. L’Italia, per contro, si posiziona come uno dei paesi in cui la differenza di salario è tra le più basse, pari al 4,9 % (in Germania supera il 23% e nel Regno Unito il 21%). Questo è un risultato apparentemente confortante, anche se il differenziale viene calcolato solo sulle persone occupate che, come già detto, risultano inferiori se confrontante con la media europea. Nonostante le premesse sulla situazione odierna non siano incoraggianti, donne e lavoro non devono essere percepiti come due realtà in contraddizione tra loro, ma come un binomio vincente e da favorire. Per creare condizioni favorevoli e trovare soluzioni concrete che contribuiscano ad accrescere l’occupazione femminile eliminando le disparità di genere in ambito professionale, occorre considerare alcuni segnali tangibili che fanno sperare in un’evoluzione positiva del quadro attuale, come la crescita delle imprese gestite da donne (il 2° Rapporto Nazionale sull’Imprenditoria Femminile, realizzato da Unioncamere con la collaborazione del Ministero dello Sviluppo Economico e del Dipartimento per le Pari Opportunità, rileva che le aziende “in rosa” in Italia sono 1,4 milioni) e le iniziative a livello legislativo. A questo proposito, il Senato ha approvato durante lo scorso marzo un disegno di legge bipartisan sulle quote rosa nei consigli di amministrazione, voluto da Lella Golfo (Pdl) e Alessia Mosca (Pd), che potrebbe regolare i rinnovi assicurando alle donne un terzo dei posti dei board delle società quotate e delle partecipate pubbliche. Ho sempre sostenuto che le quote rosa non siano la soluzione migliore per colmare il gender gap in quanto sarebbe sicuramente preferibile che la scelta venga fatta in considerazione degli effettivi meriti delle donne, tuttavia risultano essere una soluzione necessaria all’interno di una realtà allarmante come quella attuale.