La Fondazione Ugo Bordoni, ente che svolge attività di ricerca e consulenza nel settore dell’Ict, ha organizzato, nella giornata di oggi, il seminario “Reale e virtuale: nuove tecnologie per i beni culturali“.
Nono appuntamento della serie dei “Seminari Bordoni 2009”, l’evento è in corso al centro congressi di Palazzo Rospigliosi, a Roma, con la partecipazione di Francesco Antinucci, dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, esperto dei processi di elaborazione, comunicazione e apprendimento delle conoscenze e di Antonella Sbrilli, docente di Storia dell’arte contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma, esperta di Informatica per i Beni Culturali.
Proprio ieri, la professoressa Sbrilli ha fatto capire, in un commento rilasciato all’agenzia di stampa “Il Velino”, che anche l’arte, come già è avvenuto per il web, grazie alla tecnologia, sta diventando “2.0”. Esistono infatti alcuni dispositivi – ha detto la Sbrilli all’agenzia – che riescono a tenere conto dei feedback degli utenti; ad esempio i palmari che lavorano attraverso le radiofrequenze (bluetooth o wifi) che collocano le informazioni accanto all?opera consentendo agli utenti dotati di una strumentazione adeguata, di interagire con l’opera stessa “taggandola” o collegando una quantità infinita di altre informazioni.
Un altro esempio di “arte 2.0“, può essere il catalogo Artefacta, presentato alla Biennale di Venezia del 2007 e oggetto di attenzione durante il seminario. Interamente digitale e realizzato col supporto della Treccani, permette di “viaggiare” sulla mappa cittadina e accedere a tutte le opere in esposizione e alle video-biografie degli artisti.
Come è stato per il web 2.0, che ha rivoluzionato Internet senza sconvolgere la propria architettura, anche nel caso dell’arte, non è necessaria una tecnologia particolarmente sofisticata per spingere alla partecipazione gli utenti. Anzi, spesso un carico eccessivo di strumenti non alla portata di tutti, può rivelarsi controproducente. «Le postazioni digitali realizzate dentro alcuni musei, ad esempio – fa notare la professoressa – non sono particolarmente diffuse né sembrano aver riscosso particolare interesse del pubblico».