Cambiano i governi, i ministri, i ministeri (accorpati diversamente rispetto alla precedente legislatura), ma si assiste periodicamente e puntualmente ad un ritornello che non cambia mai: “nella Pubblica Amministrazione vivacchiano i fannulloni, quindi ci vogliono dei rimedi efficaci”. Tante le proposte anche nel corso della precedente legislatura, ma in Italia spesso si riparte da zero ed ecco quindi che per contenere e risolvere il problema persistente degli sprechi nella PA e contenere la spesa pubblica, si assiste ad un nuovo attacco ai fannulloni. Fioccano quindi nuove o rinnovate idee e iniziative come se tutto il tempo già trascorso non fosse mai esistito. Ma i diretti interessati, sindacati e dipendenti pubblici, vigilano e giustamente si fanno sentire.
Il professor Renato Brunetta poco dopo il suo insediamento come Ministro della PA e dell’Innovazione, fornisce i numeri dei fannulloni pubblici: un milione, senza però rendere noto il metodo di calcolo utilizzato dal Ministero e senza specificare quanti di questo milione sono dirigenti della PA e quanti impiegati, quanti sono per ogni ministero e soprattutto i nomi dei malfattori! Data l’affermazione è oggettivamente arduo stabilire se il numero costituisca un dato affidabile o meno. Certo la polemica è sempre sentita ed accresce così l’attenzione sui rimedi proposti. Primo fra tutti licenziare i fannulloni. A suo dire «ci sono le leggi che consentono la cassa integrazione e il licenziamento, solo che non sono mai state utilizzate», e ancora «è un miracolo che la Pubblica amministrazione ancora stia in piedi non avendo strumenti come gli incentivi, disincentivi, premi e punizioni. Un’azienda privata in queste condizioni avrebbe già chiuso».
Il piano di Brunetta, Linee Programmatiche sulla riforma della Pubblica Amministrazione, si basa su 5 affermazioni di partenza, a cui risponde con altrettanti rimedi:
- La dotazione dì capitale umano della nostra Pubblica Amministrazione è mediamente adeguata e addirittura, comparata a quella disponibile nel settore privato
- I livelli retributivi sono allineati al settore privato e contrassegnati da una dinamica di crescita più favorevole
- La produttività media dei dipendenti pubblici e l’efficienza media delle organizzazioni pubbliche sono assai basse
- Il deficit competitivo comparato deriva sia da regole sia da forme organizzative inadeguate
- Mancanza della figura del datore di lavoro a cui sia possibile imputare l’eventuale responsabilità di un “fallimento” dell’Amministrazione