L’innalzamento del limite ordinamentale a 67 anni per la pensione dei dipendenti pubblici prevista dalla Manovra 2025 comporta due penalizzazioni.
In entrambi i casi riguardano chi decide di ritirarsi prima, avendo il requisito per la pensione anticipata: si dovrà aspettare un anno in più per avere il TFR e si subisce anche un taglio dell’assegno previdenziale se si è tra gli iscritti alle quattro gestioni con il ricalcolo meno favorevole sui contributi precedenti al 1996.
Lo rileva la CGIL in audizione parlamentare sulla Manovra. Vediamo nel dettaglio le nuove criticità emerse.
Il nuovo limite ordinamentale a 67 anni
Il ddl di Bilancio 2025 uniforma il limite ordinamentale per ritirarsi dal servizio nella PA equiparandolo al requisito per la pensione di vecchiaia. Attualmente, invece, nella maggioranza delle pubbliche amministrazioni è fissato a 65 anni. Significa che, quando si raggiunge questa età, il dipendente pubblico che ha anche già maturato anche il requisito utile alla pensione anticipata (42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne), è collocato a riposo d’ufficio.
La nuova Manovra economica porta il limite da 65 anni a 67 anni dal 2025, oltre a prevedere la possibilità di chiedere il trattenimento in servizio fino a 70 anni.
Un anno in più per il TFS
Certo, il dipendente che matura il diritto alla pensione anticipata può comunque esercitarlo, ma in questo caso, come rileva la CGIL, si allontana di un anno il TFR (la liquidazione). I dipendenti pubblici iniziano a percepirla dopo 12 mesi da quando raggiungono la pensione di vecchiaia o il limite ordinamentale, oppure 24 mesi dopo la pensione anticipata.
Questo ritardo, rileva la CGIL, «su un reddito medio di 40mila euro con 43 anni di servizio, produce, in un contesto di forte inflazione, una perdita di potere d’acquisto pari a circa 25mila euro fra potenziale mancato rendimento ed erosione del potere reale».
Il taglio sulla pensione per quattro gestioni pubbliche
La seconda penalizzazione riguarda i lavoratori pubblici iscritti a CPDEL (enti locali), CPI (insegnanti di asilo e scuole elementari parificate), CPS (sanitari) e CPUG (ufficiali giudiziari). La Manovra dello scorso anno ha previsto per loro un nuovo calcolo dei contributi versati prima del 1996: nel caso in cui a questa data abbiano fino a 15 anni di versamenti, applicano aliquote di rendimento meno favorevoli, con il risultato che l’assegno previdenziale sarà più basso.
Questo meccanismo sfavorevole scatta esclusivamente se si ritirano con la pensione anticipata, mentre non si applica ai casi di pensione di vecchiaia e di collocamento a riposo per raggiungimento dei limiti ordinamentali. Quindi, questa platea, che la Cgil quantifica in 700mila lavoratori, per evitare il taglio della pensione deve restare in servizio fino a 67 anni.
Aggiungiamo anche che, nel caso in cui questi lavoratori scelgano la pensione anticipata, oltre al calcolo meno favorevole avranno anche una finestra mobile più lunga: quattro mesi nel 2025, cinque mesi nel 2026, sette mesi nel 2027 e nove mesi dal 2028.
Del resto, la ratio di queste misure, introdotte lo scorso anno e potenziate quest’anno dalla Manovra 2025, è proprio quella di incrementare la permanenza in servizio dei lavoratori più anziani.
Come prevedibile, le reazioni sono di segno opposto. La Cgil parla di un «arretramento significativo delle tutele previdenziali». L’INPS sottolinea invece «il perseguimento di quel nuovo equilibrio necessario alla tenuta del sistema previdenziale».