Packaging letteralmente significa imballaggio. Se cerchiamo questo termine sul vocabolario leggiamo: «involucro usato per imballare», e alla voce imballare: «sistemare una merce, un oggetto da trasportare, in appositi contenitori o involucri in modo che resti integra».
Detta così sembra una cosa asettica che richiama alla mente gli scatoloni di cartone marroni che usiamo nei traslochi o i bancali di legno impiegati per trasportare le merci. Certo l’imballaggio serve senz’altro a proteggere il prodotto, a garantire che esso arrivi integro fino al consumatore finale, a far sì che le operazioni di trasporto, di carico e scarico e di distribuzione siano semplificate riducendo gli spazi occupati nei magazzini, i costi di conservazione delle scorte, ecc. Senz’altro vero, ma tutti sappiamo che, seppure l’imballaggio di un prodotto è nato con questo scopo, il packaging, oggi, è molto più di questo. È una forma di comunicazione verbale (si pensi all’etichetta e alle indicazioni obbligatorie per legge) e non verbale.
È come prendere un prodotto e mettergli addosso un abito. Quando sono davanti all’armadio e decido cosa indossare, do per scontato che mi vesto perché voglio coprirmi, riparami dal freddo, evitare di bagnarmi se piove: certo gli abiti sono nati con questo scopo, ma oggi scelgo in base ad altro. Scarpe da tennis e tuta, se mi importa di stare comoda, se vado al parco a giocare con mio figlio, se faccio una passeggiata in riva al mare. Un abito elegante, ma sobrio se ho un incontro di lavoro. Qualcosa di più carino ed eccentrico se esco a cena con gli amici.
Il packaging è un po’ così: contiene e avvolge il prodotto, evoca sensazioni, rende diverso un prodotto dagli altri, richiama l’attenzione dei probabili consumatori, può dare un’immagine nuova al solito prodotto, lo valorizza. Alcuni autori considerano il packaging come il quinto elemento del marketing mix, rispetto ai quattro tradizionali (le così dette quattro P: product, price, place, promotion) su cui agire per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Tornando al mio armadio e alla scelta dell’abito, potrei anche decidere di indossare solo capi realizzati con tessuti naturali trasmettendo l’immagine di una persona amante della natura e attenta ai problemi dell’inquinamento. Così l’azienda può valutare se utilizzare contenitori realizzati con materiali ecologici, degradabili o favorire il loro recupero, come per dire: «Sto attenta a non fare troppi danni all’ambiente».
Ovviamente non tutti i prodotti sono uguali e per alcuni il contenitore è più importante che per altri. In alcuni settori il contenitore conserva prevalentemente la funzione di proteggere la merce (pensiamo ad una lavatrice), mentre in altri può rendere più attraente un prodotto (è il caso dei profumi o dei cosmetici). L’involucro, dunque, è un po’ come un biglietto da visita che rappresenta il prodotto.
Come dire: «La sostanza è importante, ma il primo impatto è l’apparenza». Ecco, allora, che forme, colori, dimensioni, materiali, diventano oggetto di un attento studio per attirare il consumatore, per farsi preferire agli altri e per farsi acquistare. Certo potrebbe accadere che metto i sandali e poi mi accorgo che piove: a quel punto mi ricordo che non è scontato che un vestito non è solo apparenza, ma anche sostanza.