Immaginiamo un evento sportivo di grande portata come le Olimpiadi o i mondiali di calcio. Tutti sappiamo che gli sponsor ufficiali sono disposti a pagare cifre consistenti per associare il loro marchio all’evento sportivo. Supponiamo, però, che qualcuno, un po’ furbo, decida di intrufolarsi in modo abusivo tra gli sponsor e, senza spendere nulla o quasi, sfrutti l’impatto mediatico dell’evento. L’ambush marketing è fatto.
Potremmo tradurre questa espressione, utilizzata per la prima volta agli inizi degli anni ottanta da Jerry Welsh direttore marketing dell’American Express, come marketing da imboscata o marketing parassitario o ancora marketing d’assalto. Con questo termine si vuole intendere ogni pratica che permette di associare l’immagine di un’impresa ad un evento, in genere sportivo, senza essere tra gli sponsor ufficiali che hanno pagato un corrispettivo agli organizzatori.
Gli esempi di ambush marketing sono molti. Nei giochi Olimpici del 1984, Kodak sponsorizzò le riprese televisive della squadra americana anche se lo sponsor ufficiale era La Fujifilm. Nella Coppa del Mondo del 1988 Nike sponsorizzò alcune squadre anche se lo sponsor ufficiale era Adidas e ancora, nelle passate Olimpiadi del 2008, durante la cerimonia di apertura, il ginnasta cinese Li Ning ha indossato le sue scarpe anziché quelle di Adidas, sponsor ufficiale della manifestazione.
Ma i casi che si possono raccontare sono tanti come tante sono le strategie che possono essere impiegate per attuare questa forma di marketing: manifesti pubblicitari affissi in prossimità degli impianti sportivi dove si svolge l’evento; distribuzione di gadget con il proprio marchio nelle zone che ospitano l’evento; organizzazione di campagne pubblicitarie e promozionali durante l’evento, sponsorizzazione degli atleti o delle squadre che partecipano alla manifestazione; acquisto di spazi pubblicitari radiofonici o televisivi collocati in prossimità della trasmissione della manifestazione; uso di aeromobili che pubblicizzano, con appositi striscioni, il proprio marchio durante la competizione sportiva.
L’obiettivo del marketing da imboscata è evidente: indirizzare verso il proprio marchio l’attenzione del pubblico senza sostenere i costi necessari per essere sponsor ufficiali. Ma a ben vedere c’è anche un altro obiettivo: quello di distogliere l’attenzione dal marchio dell’impresa sponsor. In questo modo si crea uno squilibrio tra l’investimento pubblicitario sostenuto dallo sponsor ufficiale e il relativo ritorno mediatico.
È chiaro che questo può disincentivare gli investimenti pubblicitari all’interno di manifestazioni sportive o di altro genere. Pertanto, i loro organizzatori cercano di tutelare in modo molto attento ogni possibile forma di imboscata da parte dei concorrenti. Così, ad esempio, durante le Olimpiadi Invernali di Torino 2006, è stato vietato agli esercizi commerciali situati nelle prossimità degli stadi ospitanti le manifestazioni, di esporre i marchi di società che non erano nell’elenco degli sponsor ufficiali. Ma l’immaginazione e la fantasia non pongono limiti ad eventuali imboscate.