«A voi piace essere criticati?». Suppongo che la risposta sia “No”. Le critiche sono sempre difficili da accettare perché contrastano col nostro naturale bisogno di sentirci accettati, ma a volte il nostro ruolo rende indispensabile la valutazione dell’operato degli altri per evidenziarne eventuali errori.
Se ci sentiamo a disagio quando veniamo criticati è facile capire che questa sarà la sensazione provata anche dalle persone che noi critichiamo. Le reazioni alla critica possono essere diverse: si può reagire con aggressività, si può cercare di scaricare la responsabilità su altri, si può sentirsi feriti e frustrati soprattutto se la critica è costante.
Saper criticare è altrettanto difficile come saper accettare una critica e richiede la capacità di trasformare un giudizio negativo in un qualcosa di costruttivo: una sorta di dono che vogliamo fare all’altro affinché possa rendersi conto di un suo comportamento errato che lo ostacola e gli impedisce di crescere.
Ma quali armi possiamo usare affinché una critica sia costruttiva? La prima regola da seguire riguarda il linguaggio: occorre dire sì, tutto ciò che non va, ma limitandosi al comportamento criticato e suggerendo se possibile un comportamento alternativo.
Il tutto in modo chiaro, senza aggressività o offese. Infatti, l’obiettivo della critica non deve essere quello di punire, ma di migliorare ciò che non va. Ad esempio, se un nostro collaboratore arriva sempre in ritardo alle riunioni, anziché dirgli «Sei il solito ritardatario» o «I tuoi continui ritardi sono inaccettabili» potremmo provare ad esprimere il nostro disappunto trasformandolo in un desiderio positivo per l’avvenire «Sarei molto contento se per le prossime riunioni riuscissi ad arrivare puntuale».
Chi riceve una critica si sente attaccato e per questo tende a difendersi e giustificarsi («Avevo un altro lavoro da finire», «Un collega mi ha fatto perdere tempo», «È arrivata una telefonata urgente», ecc..) finendo col non ascoltare neppure il contenuto della critica sul quale dovrebbe essere, invece, focalizzata maggiormente l’attenzione, oppure non replica e poi continua a comportarsi come suo solito.
Bisogna poi evitare gli attacchi personali e i commenti sulla persona. Non diciamo al collaboratore ritardatario «Sei inaffidabile», «Sei il solito ritardatario». O peggio non usiamo espressioni del tipo «Sei un incapace», «Sei uno stupido», ecc.. La critica si deve riferire ad un comportamento, ad un problema, ad una situazione particolare.
Evitiamo di usare anche quegli avverbi come sempre, mai, che rischiamo di trasformare la critica in un rimprovero avvilente come «Arrivi sempre in ritardo», «Ogni volta che ti affido un incarico importante lo sbagli», «Non ne combini mai una giusta».
Può essere utile anche evitare di effettuare la critica quando si è ancora troppo arrabbiati e non si è in grado di gestire e controllare la propria emotività. Per contro, occorre evitare anche che passi troppo tempo tra il momento in cui si è verificato il fatto incriminato e il momento in cui se ne parla con il suo autore: si potrebbe finire con il non parlarne riducendo l’importanza dell’accaduto.
Un altro suggerimento è quello di sfuggire alla tentazione di criticare qualcuno davanti agli altri: il nostro atteggiamento, anziché essere costruttivo, si rivelerebbe solamente una fonte di umiliazione per il soggetto criticato.