Tra le strategie di marketing cosiddetto “non convenzionale”, una delle più conosciute è, senza dubbio, il tribal marketing, così chiamato poiché punta a creare una comunità intorno al bene o prodotto che si vuole promuovere.
Per comprendere appieno il contenuto di tale concetto, è certamente utile rifarsi alle parole del suo fondatore Bernard Cova, considerato il filosofo del tribalismo.
Come egli afferma, oggi, per la prima volta nella storia, viviamo in un mondo che si può considerare finalmente libero. L’era postmoderna, caratterizzata da un estremo individualismo, è segnata però da un profondo paradosso: l’uomo, infatti, più si sente indipendente più cerca di ristabilire gli antichi legami arcaici e comunitari, spinto da un desiderio di passionalità piuttosto che di razionalità.
Un simile dualismo fa nascere quelle che Cova chiama le neotribù o tribù postmoderne, ovvero dei gruppi che presentano una doppia identità: l’individuo ne entra a far parte e mantiene però, nello stesso tempo, un alto grado di autonomia.
All’interno di queste piccole società si inserisce, a pieno titolo, il marketing tribale che crea e fortifica il sentimento comunitario dei consumatori tramite l’uso di una specifica strategia e attraverso la diffusione di prodotti che siano in grado di mettere in relazione più individui all’interno di una comunità, dove ciascuno possa fornire il proprio apporto e il singolo contributo personale.
In realtà di questo genere, i singoli condividono uno spazio sociale caratterizzato da un proprio codice simbolico e determinate attitudini al consumo.
Nel momento attuale, dunque, il compito dell’azienda diventa quello di cercare di raggiungere il proprio target proprio tramite questi canali, individuando le modalità più adatte per comunicare con le persone.
L’obiettivo finale di tale strategia non è dunque quello di stabilire un legame con il consumatore one-to-one, come accade nel marketing di stampo americano, ma quella di creare e sostenere un forte legame tra gli stessi clienti, sostenendoli nel condividere le loro passioni e nel sentirsi parte di un gruppo.
In sostanza, nel marketing tribale l’azienda si cala nel mondo della comunità, divenendone un membro a tutti gli effetti. Se così facendo si determina una parziale perdita di controllo sul brand, d’altro canto si alimenta però un rapporto fiduciario tra impresa e consumatore che non può che avere effetti positivi dal punto di vista degli introiti.
Un tipico esempio di approccio tribale al mercato è stato posto in essere nel 2003 dalla Ferrero, con la creazione della community MyNutella, che è riuscita, in pochissimo tempo, a sfondare il tetto degli oltre diecimila cybernauti, tutti appassionati della deliziosa crema da spalmare.
Attraverso questo sito l’azienda non solo ha potuto consolidare la propria presenza sul mercato, ma è andata ben oltre, creando una nutrita comunità di consumatori rassicurati dal fatto di sentirsi parte di un gruppo con le stesse passioni e gli stessi desideri e pronti a spendere per il bene comune alla base della loro unione.