Ogni consumatore ha un suo stile negli acquisti.
C’era una volta, e c’è ancora – diciamo noi –, il consumismo. Era il tempo della prosperità e della corsa agli acquisti. Il tempo in cui sembrava di aver bisogno di tutto: tutto era necessario, anzi indispensabile. Così il consumatore tipo, preso dalla sindrome del compratore, usciva di casa per comprare, comprare, comprare, certo che in questo modo sarebbe stata una persona soddisfatta. Perché per esser felici bisogna avere ciò che hanno gli altri e anche qualcosa in più, ciò che la pubblicità fa sembrare indispensabile per essere appagati a costo di riempirsi di rate e cambiali da pagare.
Poi è arrivato il tempo in cui i consumatori, o almeno alcuni di loro, hanno cominciato a porsi delle domande prima di comprare: «Come viene prodotto questo bene? Quali lavoratori sono stati impiegati? Come arriva fino a me? Come viene smaltito dopo che è stato utilizzato?». È stato allora che si è iniziato a diffondere il consumo critico: chi compra non pensa solamente a soddisfare la propria ingordigia, ma si preoccupa anche dell’impatto che la produzione di un bene ha sull’ambiente e sulla società in modo da indirizzare, attraverso le proprie scelte, anche le politiche produttive delle imprese.
Sarà stata una crescita della sensibilità dei consumatori, sarà stato che tra un po’ saremo sommersi dalla spazzatura, sarà stata da ultimo – ma non meno importante – la crisi, adesso il consumatore sta riscoprendo anche il baratto e il riciclo.
Arrivano così nuove tendenze, come lo swapping, che un po’ per necessità e un po’ per moda, propone lo scambio di oggetti di ogni genere (vestiti, scarpe, cappelli, collane, libri, cd, dvd, giocattoli, mobili) che per varia ragione non vengono più usati in modo da poter avere dei beni senza che sia necessario spendere un euro.
Un ritorno alle origini, allo scambio di oggetti, a quando la moneta non era stata ancora inventata, ma anche la riscoperta che la permuta fa bene perché si utilizza ciò che già esiste, non si buttano via le cose ancora nuove e si risparmia.
E per quelli che proprio non possono fare a meno di andare a fare shopping, c’è il dress crossing, una sorta di gruppo di acquisto per chi non vuole rinunciare ai prodotti griffati, ma non vuole neppure finire sul lastrico: più persone acquistano insieme un capo e poi lo usano a turno.
Sempre per gli insaziabili del prodotto di grido ci sono i servizi di abbigliamento e di accessori in affitto: si paga un canone periodico e si può avere un abito diverso al giorno o una borsetta differente ogni mese.