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Stress da lavoro: una famiglia serena è la miglior cura

di Anna Fabi

Pubblicato 22 Novembre 2011
Aggiornato 9 Settembre 2019 09:13

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Uno studio effettuato in Spagna mostra che esistono 3 tipi di stress da ufficio: c'è chi lavora male, chi poco e chi troppo. La cura? La famiglia.

A ciascuno il suo stress da ufficio. Un’indagine effettuata dall’istituto universitario spagnolo Aragon Institute of Health Sciences mostra infatti che l’affaticamento porta a 3 tipi fondamentali di risposte psico-fisiche al troppo, al poco o al cattivo lavoro.

I dati sono stati scientificamente raccolti osservando le riposte allo stress di 400 dipendenti dell’università spagnola di Saragozza, città a 300 km sia da Barcellona sia da Madrid. Le risposte dei lavoratori sono state catalogate in 3 macro sezioni, analizzando le quali è possibile capire a quale tipo di sovraffaticamento si vada incontro. In sostanza: è possibile riconoscere questi tre tipi di esaurimento semplicemente prendendo in considerazione dei parametri specifici. Lo studio ha anche mostrato che chi ha compiuto un ciclo di studi più breve – insieme a chi ha studiato troppo a lungo – ha un rischio maggiore di andare incontro a stress da lavoro.

I profili di stressati sono, come detto, 3:i frenetici, i consumati e i sottoutilizzati. “I primi lavorano più di 40 ore la settimana” spiega il professor Jesus Montero-Marin che ha curato lo studio. “E sono quelli che più di tutti rischiano di andare incontro a quello che in inglese si definisce burnout, ossia l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce chi non riesce a rispondere in maniera adeguata ai carichi eccessivi di lavoro. Questi dipendenti sono soggetti allo stress con un’incidenza fino a 6 volte maggiore rispetto alla media di chi ha la fortuna di avere una settimana lavorativa di meno di 35 ore”. Questo tipo di stress colpisce sia chi è molto ambizioso e ha molti impegni sia chi ha un lavoro a tempo indeterminato ed è colpito dall’ansa di trovare un impiego a tempo pieno.

Differente l’esaurimento da consumato: di solito colpisce chi svolge per anni lo stesso lavoro. E più è lunga la permanenza nella stessa azienda, con le stesse mansioni, più elevato è il rischio di burnout. In questo caso, il meccanismo interiore è diverso: “Ci si sente poco apprezzati e, talvolta, ci si annoia molto in ufficio visto che si sentono demotivati e deresponsabilizzati” aggiunge.

Ma ecco la terza categoria: i sottoutilizzati hanno un lavoro meccanico, ripetitivo, noioso e senza possibilità di cambiamento. Tipico è il caso di chi lavora in contabilità, che deve pertanto essere a contatto con i numeri, dai quali non può sgarrare. In questo caso, gli uomini dono più colpiti dalle donne perché queste ultime, a quanto sembra, sono meno inclini a farsi coinvolgere e assorbire dal lavoro e a non identificarsi con l’azienda.

I sintomi di questo affaticamento – molto spesso sottovalutati dai datori di lavoro e dai manager – sono un esaurimento emotivo, suscettibilità, stanchezza fisica, bassa produttività, difficoltà a intrattenere proficue relazioni di lavoro. I rimedi? “Posto che non lavorare è un lusso che pochissimi si possono permettere, l’unica è trovare delle gioie e delle soddisfazioni al di fuori dell’ufficio, come un figlio e una famiglia serena“.