Google, Apple, Microsoft e Facebook: ecco il risparmio fiscale

di Andrea Barbieri Carones

6 Febbraio 2012 15:00

logo PMI+ logo PMI+
Tramite paradisi fiscali, alcune grandi aziende informatiche degli Usa hanno risparmiato miliardi di dollari in tasse. Ed è tutto legale.

C’è chi sceglie l’Irlanda chi Portorico e chi Singapore o le isole Cayman, dove oltretutto il clime è migliore. A farlo sono le grandi aziende della Silicon Valley o della West Coast degli Stati Uniti, a iniziare da quei colossi dell’informatica come Google, Facebook, Microsoft o Apple che a fronte di fatturati miliardari puntano a spostare parte dell’attività in paesi stranieri per pagare meno tasse al governo federale di Washington.

La SEC, ossia il soggetto che oltre Atlantico controlla le società quotate a Wall Street, ha voluto vederci chiaro iniziando delle indagini che hanno portato un quadro che ha fatto andare su tutte le furie il presidente Barack Obama anche se le operazioni messe in atto dai leader dell’informatica sono tutte legali: effettuare operazioni finanziarie o triangolazioni fiscali per ridurre al minimo l’imposizione fiscale e risparmiare addirittura miliardi di dollari.

Per questo motivo, la SEC ha obbligato le aziende quotate alla Borsa di New York a fare luce sui rispettivi benefici fiscali di possono usufruire negli State o all’estero.

Come è il caso di Google, il cui presidente Eric Schmidt – con alle spalle una presenza al consiglio di amministrazione di Apple – ha fatto quanto appare ovvio a molti: fatturare parte dell’attività dell’azienda in Paesi con bass aimposizione fiscale, fino a risparmiare 7 miliardi di dollari, che tanto per dare un’idea rappresentano circa un terzo della manovra salva Italia del governo Monti. I conti sono presto fatti: la “Big G” ha dichiarato 4,7 miliardi di dollari negli Usa, pagando 2,3 miliardi in tasse e ne ha fatturati 7,6 nel resto del mondo pagando appena 248 milioni.

Si parlava dell’Irlanda? Ebbene, proprio la società fondata da Larry Page e Sergey Brin ha scelto Dublino come sua seconda patria perché qui le aziende straniere godono di una tassazione addirittura inferiore al 12,5% richiesto alle imprese nazionali. Microsoft ha invece suddiviso le sue fatture tra Singapore, Portorico e, guarda caso, l’isola a ovest della Gran Bretagna.

Mark Zuckerberg, alla vigilia della sua quotazione a Wall Street della sua Facebook, ha voluto mettere le mani avanti e ha praticamente scelto le isole Cayman come sua seconda sede e dove concentrare le sue fatture.

Tramite magiche (e legali) triangolazioni finanziarie, Apple riesce a pagare percentuali irrisorie di tasse, secondo alcuni appena il 2,5%, contro il 3% di Google e l’8% di Microsoft. Il che significa risparmiare miliardi di dollari che, come sottolineano gli abili imprenditori, finiscono comunque per essere reinvestiti in ricerca tecnologica e sviluppo di nuovi prodotti, anche se c’è chi dice che tali proventi non prendano la strada degli Stati Uniti facendo arrabbiare la Casa Bianca, che proprio un anno fa aveva incontrato i principali guru dell’informatica della West Coast per stringere una sorta di patto per rilanciare l’economia statunitense.