La crisi colpisce anche le grandi aziende di servizi finanziari con sede negli Stati Uniti: il nuovo CEO di Citigroup, infatti, ha reso noto di voler licenziare 11mila dipendenti come primo pilastro di una ristrutturazione che punta a riposizionare sul mercato questa che è la terza banca della confederazione a stelle e strisce.
Il provvedimento del top manager prevede anche un forte ridimensionamento delle attività in Paesi come il Pakistan, il Paraguay, la Romania, la Turchia e l’Uruguay, puntando a risparmiare circa 900 milioni nel 2013 e 1,1 miliardi di dollari a partire dal 2014. Il piano prevede anche la chiusura di 44 filiali negli Stati Uniti e altre 84 nel resto del mondo, dove però ne restano attive circa 4mila.
Saranno tagliati 1.900 dipendenti nella divisione clienti istituzionali, 2.600 nelle attività tecnologiche e 6.200 dalla divisone consumer-banking. Fra le cause del provvedimento di Michael Corbat – che precede quanto potrebbero presto fare altre grandi banche americane – ci sono ricavi sostanzialmente fermi e risultati in Borsa negativi.
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Appena 5 anni fa, Citigroup aveva effettuato altri licenziamenti di personale nella speranza di risollevare il valore delle azioni. L’anno successivo, la crisi economica portò l’azienda a tagliare ulteriori posti di lavoro, con conseguenti aiuti federali per cercare di stabilizzare la società. I tagli odierni significheranno però oneri straordinari di un miliardo di dollari, mentre ulteriori 100 milioni saranno inseriti nel bilancio del primo semestre del 2013. Il provvedimento, però, significherà anche un calo dei ricavi quantificabile in 300 milioni di dollari.
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Nello spiegare la strategia, Michael Corbat ha detto che “queste misure sono i logici passi della trasformazione di Citi. Aumenteremo la nostra efficienza operativa diminuendo sia la capacità in eccesso sia le spese, semplificando le nostre operazioni. Abbiamo identificato aree e prodotti che non offrono apprezzabili ritorni economici“. Un analista dei mercati finanziari di New York ha ricordato che solo lo scorso anno il precedente amministratore delegato dell’azienda, Vikram Pandit, aveva assunto nuovo personale in tutto il mondo e aveva spinto a estendere la sua attività in India, Cina, Singapore e Messico dopo aver rimborsato un piano di salvataggio federale da 45 miliardi di dollari.
Ma a gennaio aveva dovuto cedere all’evidenza della crisi, annunciando un piano di licenziamenti da 5mila posti di lavoro, diventati poi 11mila col suo successore.