Il posto fisso non esiste più, e le banche non sono esenti da questo dato di fatto: secondo l’Abi entro il 2017 saranno 20mila gli esuberi nel settore, che si aggiungeranno agli oltre 23mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2011. In totale si parla di 43mila lavoratori privi di impiego nell’arco di 10 anni.
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A fare le spese di questa crisi sono soprattutto i dipendenti con più anni di servizio, spesso incentivati – grazie al fondo di solidarietà – al pensionamento anticipato. Per i dirigenti, invece, la situazione è ancora più instabile, infatti la tendenza dominante è quella di accettare mansioni inferiori pur di non perdere il posto di lavoro.
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«Da più di un anno abbiamo notizie di dirigenti ai quali si chiede di tornare ad essere quadro direttivo. Con un taglio del reddito del 30%. E molti accettano perché l’alternativa sarebbe perdere il posto di lavoro e in un periodo come questo non è facile ricollocarsi. Tra l’altro i dirigenti sono licenziabili più facilmente perché non rientrano nelle norme sulla stabilità del posto di lavoro».
Queste le parole del segretario generale di Dircredito, Maurizio Arena, mentre arrivano cifre più precise che riguardano gli esuberi previsti dai principali istituti di credito. Per MPS si parla di un accordo siglato con i sindacati che prevede 1660 uscite, mentre Unicredit manderà a casa 3500 lavoratori, secondo quanto indicato nel Piano Industriale 2012-15, tra pensionamenti ed esodi volontari.
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Intesa San Paolo dovrebbe confermare oltre 4mila esuberi entro il 2015, mentre stando ai dati ammonta già a un centinaio il numero di top manager non più attivi a partire dal 2011. BNL perderà 1110 posti di lavoro, mentre per Bpm saranno circa 800 i tagli entro il 2015, tra abbandoni volontari e soggetti a incentivi.