Non c’è pace per i Forfettari: nel giro di dieci anni, il regime dei Minimi ha cambiato diverse volte, oltre che il nome, anche tutte le regole normative: dai requisiti di ingresso ai tetti di reddito e al trattamento fiscale.
Ma la virata 2019-2020 è una delle più rilevanti: la scorsa Manovra aveva ampliato la platea del regime a forfait alzando il tetto di reddito a 65mila euro, rendendolo anche primo campo di applicazione della flat tax al 15%.
Ora, il ddl di Bilancio 2020 contiene una radicale marcia indietro: non solo non scatterà l’aliquota agevolata al 20% fino a 100mila euro di entrate (verrà quindi abolita la relativa norma inserita nella legge di bilancio 2019) ma sarà anche reso molto più rigido l’attuale regime agevolato. Che, dicono in molti, assomiglia sempre più al “vecchio” regime dei Minimi, in teoria mandato in soffitta nel 2016.
Ripercorriamo la storia delle aliquote e delle regole applicate nel giro di dieci anni alle Partite IVA forfettarie.
=> Partite IVA: stretta su forfettari e flat tax
Nel 2008 viene introdotto il regime dei Minimi, con l’obiettivo di semplificare gli adempimenti fiscali degli autonomi con entrate basse, magari a inizio attività. Regolamentato dai commi 96 e seguenti della legge 244/2007, prevedeva un tetto annuo di ricavi di 30mila euro e un’aliquota fiscale al 20%. C’erano poi una serie di requisiti da rispettare per l’accesso: 15mila euro di acquisti di beni strumentali in tre anni, niente compensi per i collaboratori, nessuna cessione all’esportazione.
Nel giro di 10 anni questo regime speciale fiscale sarà via via via modificato.
Nel 2011, con la “manovra estiva”, il regime dei minimi diventa regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità: l’imposta sostituiva scende al 5%, quindi diventa molto più conveniente, ma i paletti di ingresso cambiano a loro volta parecchio, così come le regole applicative. In estrema sintesi: durata massima cinque anni, requisito necessario essere una nuova attività (intrapresa dopo il 31 dicembre 2007), aperta da un giovane o da un lavoratore in mobilità. Il tetto di reddito a 30mila euro.
Nel 2015 arriva il nuovo regime forfettario, cambiato dalla legge di Stabilità. L’aliquota fiscale piatta si fissa al 15%, i tetto di reddito cambiano a seconda delle diverse attività professionali, che vanno dai 15mila euro dei professionisti ai 40mila dei commercianti. E viene modificato il metodo di calcolo dell’imponibile, effettuato mediante un sistema di coefficienti, anch’essi diversi a seconda della tipologia di attività. Questo sistema assorbe di fatto tutti i precedenti regimi fiscali agevolati, e viene leggermente modificato negli anni seguenti (vengono rimodulati i diversi tetti di reddito).
E arriviamo al 2019, quando la manovra del Governo M5S-Lega alza il tetto a 65mila euro per tutti. E imposta un’ulteriore step verso la flat tax, prevedendo dal 2020 un’aliquota al 20% per chi fattura fra i 65mila e i 100mila euro (senza applicazione del forfettario ma con determinazione ordinario del reddito).
Nel 2020 questa strategia fiscale sarà abbandonata: non scatterà la nuova aliquota al 20% per i redditi fino a 20mila euro e torneranno i vecchi paletti anche se con qualche modifica. In particolare: tetto di 20mila agli acquisti di beni strumentali, tetto di 20mila euro ai compensi ai collaboratori e ai dipendenti. Si ragiona sul divieto di accesso per i lavoratori dipendenti che guadagnano più di 30mila euro.
In realtà è bene aspettare i testi definitivi delle misure per capire con precisione come sarà modulata la stretta 2020, così da fare un definitivo paragone con il trattamento fiscale degli anni precedenti.
Un altro cambiamento riguarda la fatturazione elettronica, che diventerà obbligatoria anche per i forfettari (con l’esclusione, probabilmente, di coloro che hanno ricavi inferiori ai 30mila euro, per i quali dovrebbe restare l’esenzione).