I collaboratori degli studi legali, pur non essendo avvocati a tutti gli effetti, devono essere riconosciuti come dipendenti se prestano la loro attività in modo prevalente.
Lo hanno affermato i giudici della Corte di Cassazione con la sentenza numero 22634/2019, chiarendo in quali occasioni dietro un rapporto di collaborazione all’interno degli studi legali si celi in realtà una effettiva condizione di lavoro subordinato, rientrando nella disciplina prevista dall’Articolo 2094 del Codice Civile.
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Secondo i giudici, i quali si sono espressi in merito al ricorso avanzato da un avvocato contro l’iniziale sentenza che aveva riconosciuto il collaboratore/segretario come dipendente, per valutare il rapporto professionale e distinguere tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, devono essere presi in considerazione diversi fattori.
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È la stessa Cassazione ad elencare alcuni criteri che possono essere usati come “indizi” per qualificare la tipologia di un rapporto di lavoro, a patto che siano inseriti in una valutazione globale e complessiva: si parla della continuità della prestazione, del rispetto di un orario predeterminato, della percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, dell’assenza di rischio in capo al lavoratore e di una anche minima struttura imprenditoriale.