Una nuova sentenza europea riaccende i riflettori sulla compatibilità tra tariffe professionali e direttive UE. Senza ragioni di interesse pubblico in un ambito specifico, è vietato definire minimi e massimali per le prestazioni dei professionisti: è questo il senso della sentenza del 4 luglio emessa dalla Corte di Giustizia in merito ad un caso di limiti minimi imposti per il pagamento di lavori di progettazione.
In base alla direttiva europea 2006/123 (articolo 15) i tariffari professionalo minimi e massimi si possono applicare solo rispettando i seguenti tre criteri:
- non discriminazione (in funzione di cittadinanza e sede legale),
- necessità (ci vuole un motivo imperativo di interesse generale),
- proporzionalità (devono garantire la realizzazione dell’obiettivo, senza eccedere rispetto a questo criterio).
=> Compensi professionali: regole e guida al calcolo
La sentenza fornisce anche chiarimenti su come si applicano (il caso esaminato riguardava prestazioni di architetti e ingegneri).
La Corte ha stabilito che in linea di principio l’esistenza di tariffe minime può essere atta a garantire un elevato livello di qualità delle prestazioni in specifici mercati, ma dovrebbero essere applicate ad un contesto riservato a chi svolge un’attività regolamentata, diversamente non esisterebbe nessuna garanzia di idoneità professionale.
=> Appalti: i compensi minimi sono derogabili
Diversamente si crea una incoerenza normativa rispetto all’obiettivo perseguito dalle tariffe minime, ossia quello di preservare la qualità delle prestazioni.
Nel caso in oggetto, il Governo (tedesco) non è riuscito a dimostrare che le tariffe minime previste dalla propria legislazione fossero “idonee a garantire il conseguimento dell’obiettivo consistente nel garantire un elevato livello di qualità delle prestazioni di progettazione e ad assicurare la tutela dei consumatori”.