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Chiedere un compenso troppo alto per la prestazione professionale concessa può costare caro agli avvocati. Non è lecito, infatti, pretendere dai clienti una parcella sproporzionata rispetto sia all’effettiva attività svolta sia alla tariffa valutata come equa. Il Consiglio nazionale Forense si è espresso in merito con la sentenza 9/2018, sottolineando come i clienti debbano accettare la remunerazione proposta dal legale solo dopo un’attenta valutazione di alcuni parametri ritenuti fondamentali: in primis la tariffa vigente ma anche l’attività “defensionale” svolta dall’avvocato, valutando la misura del compenso ritenuta equa.
=> Compensi avvocati: prevale accordo con cliente
Il Codice Deontologico Forense, all’articolo 29 comma 5, sottolinea infatti che:
L’avvocato non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all’attività svolta o da svolgere.
È sempre il Codice a segnalare come le sanzioni disciplinari applicate per la violazione dei doveri del professionista relativi a questo specifico articolo comma prevedano la censura.
La sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno, invece, può arrivare qualora l’avvocato – nominato difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato – richieda agli assistiti compensi o rimborsi diversi da quelli previsti dalla legge.