I commercialisti criticano la flat tax autonomi, ovvero l’innalzamento del regime dei minimi fino a 65mila o 100mila euro che il Governo è intenzionato a inserire nella prossima manovra di Bilancio: a più riprese il presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Massimo Miani, ha espresso le perplessità della categoria sulla riforma fiscale in vista. Lo aveva dichiarato in commissione finanze al Senato a metà settembre, lo ha ribadito nel corso del Secondo Forum dei commercialisti il 25 settembre a Milano:
la proposta di ampliare la platea per il regime forfettario, aumentando i limiti di fatturato, non ci convince.
L’ipotesi allo studio del Governo prevede infatti l’estensione della tassa piatta al 15% per Partite IVA che incassano fino a 65mila euro l’anno, prevedendo un ulteriore 5% per i redditi da 65mila e 100mila euro.Ma l’attuale regime forfettario al 15% è pensato per contribuenti medio-piccoli: alzare la soglia di applicazione dell’aliquota scontata fino a redditi da 100mila euro rischia di avere effetti distorsivi.
I rischi: disincentivo alle aggregazioni (restare in proprio sarebbe più conveniente che associarsi o aggregarsi), nanismo imprenditoriale e professionale, distorsione della concorrenza (non addebitando l’IVA al cliente), scalone fiscale oltre il quale è più conveniente non aumentare le entrate.
Per ridurre le tasse agli autonomi, secondo i commercialisti, sarebbe meglio intervenire sulle aliquote IRPEF.
Riteniamo che l’apprezzabile intento del governo di ridurre la pressione fiscale che grava sulle partite IVA con redditi medi e medio-alti andrebbe realizzata agendo direttamente sulla curva IRPEF, piuttosto che ampliando sic et simpliciter un regime forfetario che è nato più che altro come strumento di semplificazione degli adempimenti per soggetti con volumi d’affari minimi e redditi che, anche applicando le regole ordinarie, sconterebbero a consuntivo una tassazione sostanzialmente allineata o comunque molto vicina a quella sostitutiva.
Le critiche riguardano anche la riduzione di un punto per la prima aliquota IRPEF, che scenderebbe al 22%. In base ai calcoli Cndcec, la misura costerebbe 4,1 miliardi di euro spalmati su 30,8 milioni di contribuenti. Significa un risparmio fiscale di 12,5 euro al mese per i 22 milioni di contribuenti che dichiarano un reddito superiore a 15mila euro, e di 7,3 euro al mese per gli 8,8 milioni di contribuenti che dichiarano meno di 15mila euro.
Un rapporto costi benefici non soddisfacente, mentre invece sarebbe più utile concentrare gli sforzi di riforma fiscale su:
interventi più mirati che possono lasciare veramente il segno, come quelli sulle partite IVA. Tenendo però conto dei nostri suggerimenti per non creare pericolosi effetti distorsivi.
Quindi, bene le semplificazioni e giusta l’attenzione «al tema del prelievo fiscale sul lavoro autonomo, escluso nel recente passato sia dagli interventi che hanno riguardato solo il comparto del lavoro dipendente, sia da quelli che hanno riguardato solo il comparto della media e grande impresa».
La soluzione, più che nella flat tax autonomi al 15%, andrebbe cercata in una diversa modulazione della curva IRPEF.