Il decreto Dignità (Decreto n.87 /2018) ha abolito, a partire dal 14 luglio 2018, lo split payment per i professionisti che emettono fatture nei confronti della PA.
Una misura voluta dal Governo in ottica di semplificazione degli adempimenti a carico di professionisti e piccoli prestatori e fornitori della Pubblica Amministrazione che, senza lo split payment, potranno di nuovo incassare l’IVA, dunque non diventeranno più creditori dell’Erario per l’imposta pagata a monte. L’impatto della misura è stato stimato di 35 milioni di euro per l’anno 2018, 70 milioni di euro per l’anno 2019 e 35 milioni di euro per l’anno 2020. Importi stanziati con il decreto Dignità per compensare le ritardate entrate per lo Stato.
Impatto dello split payment sulle PMI
Un impatto ben diverso da quello stimato dallo studio di CRIF Ratings sugli effetti dello split payment sul livello di indebitamento complessivo per le PMI italiane, o perlomeno sul campione di 26.935 PMI analizzate, che nel 2015 sarebbero stati minimi.
Analizzando l’impatto dello split payment sulla base dei dati del MEF si osserva infatti che:
- la porzione di IVA soggetta al regime dello split payment è stata pari a 6,7 miliardi di euro, ovvero il 9,8% del gettito IVA complessivo dalle società di capitali nel 2015;
- le richieste di rimborso IVA relative allo stesso periodo d’imposta sono cresciute da 2,13 miliardi di euro a 9,97 miliardi di euro in totale (+27%);
- sul campione di imprese esaminato si rileva un aumento dei crediti per imposte da circa 1,5 miliardi di euro a 18,3 miliardi di euro nel 2015 (+9%) che tuttavia, rappresentava solo lo 0,6% del debito finanziario totale del campione pari a 246,4 miliardi.
Ad essere maggiormente colpiti dall’impatto dello split payment nel 2015 sono stati utilities ed energia, costruzioni e infrastrutture, manifattura, commercio e trasporti e logistica.
Metriche del credito
Lo studio rileva inoltre come le metriche del credito del campione osservato siano migliorate ad un ritmo stabile nel periodo 2013-2016. In relazione al primo anno di introduzione dello ‘split payment’, il valore mediano dell’indicatore debito finanziario lordo / EBITDA è passato a 3,3x nel 2015 da 3,4x nel 2014, mentre quello dell’indicatore EBITDA / oneri finanziari è passato a 10,7x nel 2015 da 8,6x nel 2014. Inoltre, il valore mediano del rapporto dei debiti finanziari a breve termine sul totale ha mostrato una leggera riduzione (67,8% nel 2015 da 71,3% nel 2014).
Christian De Rose, Associate di CRIF Ratings, autore dello studio, spiega:
Non abbiamo osservato alcuna differenza materiale per le società appartenenti ai settori più colpiti dallo split payment (come definiti in precedenza), le quali hanno riportato lo stesso o perfino un miglior trend in termini di indicatore di leva. I miglioramenti sono principalmente imputabili a una serie di fattori favorevoli nel periodo 2013-2016. Primo tra questi, il basso prezzo del petrolio che ha supportato la marginalità operativa permettendo una crescita dell’EBITDA in valore assoluto. Secondo, gli incentivi fiscali sul costo del personale e sugli investimenti hanno permesso alle imprese di limitare l’assorbimento di cassa derivante dal pagamento delle tasse. Infine, la politica monetaria della BCE ha permesso una generalizzata riduzione del costo del debito e favorito l’erogazione di nuova finanza a più lungo termine.
Estensione dello split payment
L’estensione della direttiva alla lista di enti pubblici, società controllate dalla Pubblica Amministrazione italiana e società quotate alla Borsa italiana individuata dal MEF a dicembre 2017 potrebbe tuttavia avere un impatto negativo sul ciclo del capitale circolante per le PMI italiane nel 2018, soprattutto a causa dall’accumularsi dei crediti IVA. Ma il conseguente scompenso di liquidità sarà riassorbito nella dinamica del capitale circolante nel 2019. L’Agenzia ricorda inoltre che le imprese hanno a disposizione varie alternative per finanziare il fabbisogno di capitale circolante nel 2018: riserve di liquidità, anticipi bancari, factoring e cartolarizzazioni, soluzioni i cui effetti sui livelli di indebitamento sono molto variabili.
Anche per questo, spiega De Rose:
Non riteniamo probabile un’ulteriore estensione dello split payment dopo il 30 giugno 2020. L’Unione Europea ha già concesso la deroga per la seconda volta nel 2017, nonostante l’impegno iniziale dell’Italia a non richiederne di ulteriori. Allo stesso tempo, l’introduzione della fatturazione elettronica sarebbe più efficace nel contrasto all’evasione fiscale e, inoltre, non comporta impatti nella gestione del capitale circolante.
La scadenza dell’efficacia dello split payment nel 2020, o un’eventuale eliminazione preventiva dello stesso, avrebbe un effetto positivo una tantum sul ciclo del capitale circolante, che sarebbe comunque non significativo rispetto al debito finanziario complessivo delle PMI, quindi non comporterebbe alcun effetto positivo sul merito di credito delle società esposte ai Soggetti Pubblici nel complesso.