Il colosso dell’informatica e delle soluzioni per il business IBM è da qualche giorno nel mirino del Dipartimento di Giustizia statunitense, interessato a verificare la possibile presenza di una violazione delle norme antitrust. L’iniziativa è stata avviata sulla base di un reclamo presentato dalla potente Computer and Communications Industry Association, che da tempo contesta a Big Blue di avere un ruolo dominante sul mercato, maturato in oltre 30 anni di attività nel comparto business.
IBM è infatti presente nel 95% delle soluzioni mainframe adottate dalle 1000 aziende più importanti degli Stati Uniti sulla base della classifica stilata periodicamente da Forbes. Una condizione che, secondo CCIA, avrebbe ingessato quasi del tutto il mercato impedendo ad altre società attive nel medesimo comparto di emergere e competere ad armi pari. Non è dunque un caso che tale iniziativa presso il Dipartimento di Giustizia giunga da una associazione che raccoglie intorno a sé alcuni dei principali protagonisti dell’informatica e dell’elettronica su scala globale.
Tra i membri della CCIA spiccano nomi celebri come Microsoft, Google, AMD, Oracle, T-Mobile e Yahoo. Società interessate, con declinazioni diverse, al comparto nel quale IBM detiene la leadership e determinate a eliminare quello che a loro giudizio costituisce un abuso di posizione dominante. Il compito di verificare la condizione illustrata dai membri della CCIA spetterà ora al Dipartimento di Giustizia statunitense, che ha da poco avviato una prima fase di indagini nei confronti di Big Blue.
Tra le società interpellate dall’istituzione americana si distingue T3 Technologies Inc., una azienda della Florida che si attivò sia in sede europea che negli Stati Uniti per contestare il comportamento di IBM, accusata di aver violato le leggi antitrust. Distributrice delle piattaforme IBM tra il 1992 e il 2002, T3 affermò di essere stata tagliata fuori dal mercato in seguito alla decisione di Big Blue di non concedere più le licenze per i propri applicativi. Una scelta che avrebbe pesantemente condizionato i destini di T3, impossibilitata a fornire tutti i servizi richiesti dai propri clienti.
Le accuse formulate dalla società della Florida sono state recentemente respinte dalla Corte distrettuale del Southern District di New York, ma la recente decisione del Dipartimento di Giustizia di interpellare anche T3 potrebbe riaprire la vicenda, offrendo alla CCIA ulteriori elementi a supporto del proprio reclamo. «Siamo al corrente della decisione del Dipartimento di Giustizia di richiedere alcuni documenti a T3 sulla querelle legale. Continuiamo a credere che non vi sia nulla di fondato nelle denunce di T3, e che IBM abbia tutto il diritto di far valere i diritti legati alla proprietà intellettuale e di proteggere i propri investimenti realizzati in campo tecnologico» ha dichiarato un portavoce di Big Blue.
I nuovi attriti con il Dipartimento di Giustizia si inseriscono nella lunga scia di vicende legali che hanno visto contrapposte IBM e le autorità antitrust. Per quasi 50 anni, la società ha dovuto rispettare un accordo raggiunto nella seconda metà degli anni Cinquanta per limitare la propria presenza sul mercato. Un patto rivisto e aggiornato negli anni seguenti per poi essere annullato nel 2001 in seguito ai numerosi cambiamenti che hanno investito i settori dell’elettronica e dell’informatica. L’iniziativa della CCIA potrebbe ora aprire un nuovo capitolo nella lunga storia di amore e odio tra autorità di controllo e IBM.