È un giovedì del lontano 1929, esattamente il 24 ottobre: crolla la borsa di Wall Street e inizia una delle più gravi crisi economiche mondali che avrebbe coinvolto, oltre agli Stati Uniti, tutte le principali potenze economiche (Inghilterra, Francia, Italia, Germania, Russia e Giappone).
Quel giorno, il timore di vedere diminuire il valore delle proprie azioni scatena una corsa alla loro vendita, con un conseguente inevitabile crollo delle quotazioni dei titoli.
Tuttavia questa crisi finanziaria è semplicemente la manifestazione di una crisi ben più ampia presente nel paese. Una crisi dovuta alla sovrapproduzione agricola ed industriale. Gli agricoltori statunitensi, durante il conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra, hanno esportato grandi quantitativi di cereali in Europa, dove la guerra ha portato ad un calo della produzione. L’elevata domanda li ha spinti ad effettuare grossi investimenti ricorrendo a prestiti bancari. Quando, alla fine degli anni 20, si assiste ad una ripresa dell’agricoltura europea, la produzione americana risulta eccessiva.
Anche nel settore industriale si assiste ad una sovrapproduzione, soprattutto nel settore automobilistico ed edilizio: chiudono molte fabbrica, cresce la disoccupazione con una riduzione dei redditi e una contrazione della domanda.
Il presidente Hoover è incapace di affrontare la grave situazione e occorrerà aspettare l’elezione di Roosevelt che, basandosi sulle teorie di Keynes, inizia un nuovo corso caratterizzato da un aumento della spesa pubblica al fine di incrementare la domanda aggregata.
Seppure in molti, hanno confrontato l’attuale crisi con quella degli anni ’30, con pareri tra l’altro non sempre simili, una prima importante differenza tra queste due crisi, va individuata nell’origine. Quella degli anni ’30 è dapprima una crisi del settore produttivo e solo successivamente si riflette nel contesto finanziario, mentre quella attuale nasce come crisi finanziaria che poi si ripercuote sul settore produttivo.
La crisi attuale, scoppiata nell’agosto del 2007, vede le sue radici nei prestiti subprime. Agli inizi del 2000 il mercato è caratterizzato da bassi tassi di interesse ed elevati prezzi degli immobili. È proprio in questo contesto che, nel mercato immobiliare americano, vengono concessi mutui per l’acquisto di case ad un numero crescente di famiglie, anche poco solubili, utilizzando i mutui subprime che prevedono un tasso di interesse molto basso nei primi anni e successivamente un loro repentino aumento.
I debitori, però, non se ne preoccupano pensando di poter rinegoziare i mutui successivamente in modo da conservare bassi tassi di interesse. Sembra che tutti hanno qualcosa da guadagnare da questa situazione: le famiglie, le imprese di costruzioni, gli agenti immobiliari e gli istituti di credito. Ma arriva il momento in cui molti non sono in grado di pagare i loro debiti con conseguente vendita all’asta degli immobili e mancato recupero delle liquidità da parte delle banche che, nel frattempo, hanno venduto i prestiti ad altri investitori con la conseguenza che la crisi non si fermata agli Stati Uniti.
La crisi del credito, solo successivamente, si riversa nel settore industriale.