Era il terrorista più ricercato del pianeta. Osama bin Laden, ucciso ieri in Pakistan in un raid americano, era anche un uomo favolosamente ricco, che avrebbe potuto trascorrere un’esistenza priva di qualsiasi rischio, fra i lussi più sfrenati. La holding della famiglia bin Laden genera 5 miliardi di dollari all’anno di profitti.
Un impero economico costruito dal nulla. Il padre del capo del terrorismo si chiamava Mohammed bin Laden ed era emigrato negli anni ’30 dallo Yemen all’Arabia Saudita in cerca di fortuna. Fondò un’impresa di costruzioni, che si ingrandì grazie all’abilità del fondatore di tessere rapporti con la famiglia reale, fino a diventare un colosso dell’edilizia. Il testimone passò in seguito ad alcuni dei fratelli di Osama, Salem bin Laden prima e Bakr in seguito. Sono stati loro a diversificare in diversi settori: finanza, difesa, editoria, software. Un impero con interessi in tutto il mondo, Stati Uniti compresi, che impiega circa 30mila persone.
Èstato trovato e ucciso in quel Pakistan che segnò l’inizio della sua parabola qaedista. Partì nel ’79, abbandonando gli studi in economia e ingeneria, per unirsi ai combattenti della jihad contro l’invasione dell’allora Unione Sovietica in Afghanistan. A Peshawar, in Pakistan, conobbe Abdullah Azzam, e con lui iniziò a reclutare “combattenti” da tutte le regioni mediorientali per un’organizzazione che chiamò Al Qaeda. La sua ricchezza servì a sovvenzionare le attività, che a quei tempi non erano certo mal viste dall’Occidente e dagli Stati Uniti.
Negli anni ’90, la situazione cambia radicalmente. Si rompe il privilegiato rapporto con la monarchia saudita, che lui accusa di essersi “venduta” agli americani. Scappa in Sudan, che diventa il quartier general da cui si propone come il leader dell’integralismo islamico.
Nel ’92 organizza un attentato in un hotel di Aden, nello Yemen, probabilmente con l’intenzione di colpire le truppe americane che vi alloggiavanao, ma che erano già partite. Muoiono due turisti austriaci, e quello per l’intelligence è il primo attentato internazionale attribuito da Al Qaeda. L’anno dopo, nel febbraio del ’93, il primo attentato contro le Torri Gemelle, e a quel punto diventa il nemico numero uno. L’Arabia saudita gli ritira la cittadinanza nel ’94, due anni dopo viene espuslo dal Sudan, e si rifugia nell’Afghanistan del mullah Omar, da cui lancia la fatwa contro gli americani, che ogni muslumano ha il dovere di colpire ovunque nel mondo. L’attentato peggiore, prima dell’11 settembre, è quello alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam (224 vittime, oltre 4mila feriti).
Gli esperti si interrogano da anni, e a maggior ragione negli ultimi giorni, sull’effettivo potere che lo “sceicco del terrore” aveva ancora in seno all’estremismo islamico. Da capo militare, era diventato una sorta di guida carismatica, che dosava sapientemente messaggi e apparizioni, e mirava a rappresentare la figura di riferimento per tutti i movimenti integralisti.
Il pericolo terrorista, lo hanno sottolineato le massime autorità internazionali a partire dalla Casa Bianca, non è certo terminato con la sua morte, anzi è alto l’allarme per il timore di una reazione di Al Aqeda.
Anche la reazione dei mercati, spesso emblematica in questi casi, è stata relativamente cauta. Tokyo ieri ha festeggiato con un rialzo intorno all’1,5% Le borse europee hanno aperto in aumento ma nel corso della giornata i rialzi si sono contenuti. Moderazione anche a Wall Street. Le reazioni più forti si sono viste sui mercati valutari, dove il dollaro si è apprezzato, e su quello del petrolio, con il prezzo che ha iniziato a scendere.