Scavalcato dall’iPad sul fronte della versatilità dello strumento e certamente appesantito dal punto di vista finanziario, Amazon rilancia in queste settimane sul Kindle e sul modello dell’e-reader inaugurando un servizio di prestito di e-book negli Stati Uniti per quegli utenti che hanno sottoscritto Amazon Prime, il principale servizio di CRM (gestione delle relazioni coi clienti) del gigante di Seattle e che offre, fra gli altri servizi, anche le consegne gratuite a fronte di un piccolo canone annuale per tutti gli acquisti.
Il servizio di prestito mira a conquistare nuovi clienti al Kindle, ad aggiungere nuovi utenti registrati per Amazon Prime, ma anche a diffondere ulteriormente l’e-reader come strumento domestico e portatile nell’ambito di un mercato di utenti più giovani e di un mondo dove l’editoria scolastica vive un cambiamento molto forte nella direzione del digitale. Va in quest’ultima direzione infatti la funzionalità del servizio prestito che consente di memorizzare annotazioni e sottolineature sull’e-reader in caso di acquisto successivo dell’e-book originale.
Merita fermarci in ogni caso a pensare che il prestito dell’e-book rientra in quel segnale debole su cui il digitale costruisce servizi e ne alimenta a sua volta l’evoluzione: stiamo passando, direbbe Rifkin, dall’era del possesso all’era dell’accesso e ciò che sta accadendo con dvd, libri e cd cambia la percezione dei consumatori in tutti gli altri mercati e in tutte le altre merceologie.
Dopo l’ingaggio di un agente letterario in grado di contrattualizzare direttamente autori e scrittori, Amazon continua, con il prestito di e-book, la sua politica competitiva nei confronti degli editori. Al manager italiano questo deve indurre una riflessione sul ruolo dell’innovazione come necessità e non come opportunità: il caso che citiamo è infatti solamente uno dei tanti che dimostrano come le aziende digital che hanno maturato un ruolo da leader sul fronte distributivo tendano a risalire la filiera per disintermediare i distributori e legarsi a doppio filo con i produttori. Succede per Google, succede per Apple, succede per i grandi operatori delle vendite private e per i marketplace verticali.
Di fronte a uno scenario di questo tipo, è urgente pertanto non limitarsi a “usare” tatticamente questi operatori come agenti distributivi online, ma occorre presidiare il canale con una propria strategia tale da consentire di analizzare metriche e sensibilità richieste e maturare competenze e orientamenti interni all’azienda.