Si dicono “esterrefatti” per una richiesta d’indennizzo che nel campo della moda (e non solo) non ha alcun fondamento e si difendono gli americani di Guess, famosa marca d’abbigliamento che usa il punto di domanda come suo emblema e le immagini sexy in bianco e nero di modelle e attrici del calibro di Claudia Schiffer, Drew Barrymore, Anne Nicole Smith, Eva Herzigova, Laetizia Casta e Paris Hilton.
La controparte ha un nome storico, quel Gucci By Gucci, ieri, capofila del made in Italy, oggi, luxury brand per il colosso della moda francese, François Pinault; negli anni destreggiatosi tra passerelle e noir, finito agli onori di cronaca con l’assassinio, nel 1995, del rampollo Maurizio, figlio di Rodolfo Gucci, nipote di Guccio Gucci e con l’incriminazione dell’ex moglie, Patrizia Reggiani.
Motivo della disputa a suon di milioni? I francesi sostengono che gli americani hanno copiato la “G” toscana e accusano, quindi, la griffe hollywoodiana di contraffazione.
Un guazzabuglio, un “intrigo internazionale”, per citare Hitchcock, anche se l’affaire si riduce alla stregua di un grossolano trafficante di strada che rifila ciarpame contraffatto. Ma ormai la miccia è accesa, mentre la schiera dei rappresentanti legali by Gucci, sembra prendere la questione molto seriamente, al punto che Louis Ederer, portavoce del gruppo Pinault, assicura di come il garbuglio, palesi in realtà “un massiccio, complicatissimo paradigma per falsificare i disegni del brand…”. Gli ex toscani chiedono un risarcimento agli attuali detentori del marchio Guess, intorno ai 220 milioni di danni e la fine della guerra delle due “G”.
D’oltreoceano, gli americani non stanno a guardare e ribattono colpo su colpo: accuse pretestuose, i due marchi si rivolgono a target ben distinti; come si fa ad abbinare signore d’alto rango disposte a spendere cifre ragguardevoli per prodotti luxury come quelli proposti dalla linea Gucci e giovanissime che vestono il look fashion mode di Guess, ma più a buon mercato? D’altronde, Daniel Petrocelli, avvocato di Guess, la butta sull’ironico sostenendo che se di “contraffazione” si tratta, allora “il piano è miseramente fallito”.
Toccherà al giudice distrettuale di Manhattan, Shira Scheindlin, emettere un verdetto sui 220 milioni di danni sollecitati dalla “parte lesa”. Compito non facile, tenendo conto di un plausibile accordo consensuale che risolva la presupposta guerra delle due “G”, contro le posizioni intransigenti di due brand in discordia.